lunedì 28 novembre 2011

ADRIANO OLIVETTI ED IL SOGNO DI UNA POLITICA DIVERSA

Adriano Olivetti pensava ad un nuovo ruolo dei partiti, e sosteneva:
“Alla fine del fascismo la maggior parte degli intellettuali vedeva nei partiti uno strumento di libertà. Io no. Sono organismi che selezionano personale politico inadeguato. Un governo espresso da un Parlamento così povero di conoscenze specifiche non precede le situazioni, ne è trascinato. Ho immaginato una Camera che soddisfi il principio della rappresentanza nel senso più democratico; e poi sappia scegliere ed eleggere un senato composto delle persone più competenti di ogni settore della vita pubblica, della economia, dell’architettura, dell’urbanistica, della letteratura”.

Alla luce di quanto sopra bisogna dire che ci aveva proprio azzeccato, visto il disastro che i partiti hanno creato in questi 50 anni di presunta democrazia, la realtà è che hanno pensato solo a loro stessi, ai propri miseri interessi e poco o nulla si sono preoccupati dei veri problemi, hanno preferito tergiversare, aspettare, delegare e così un pò alla volta si è generato il disastro che è sotto l'occhio di tutti noi.

venerdì 25 novembre 2011

Il Gianni Letta che (non?) ti aspetti

Art. 21 Cost. / Notizie: Il Gianni Letta che (non?) ti aspetti: . Confesso che mi disturba molto leggere elogi smisurati bipartisan nei confronti del fido consigliere di Berlusconi. Chi vive vicino al sa...

Ignazio La Russa e gli sprechi indecenti

Io non lo detesto per le spese superflue a nostro carico, quanto perchè è una ma persona totalmente indegna.

Art. 21 Cost. / Notizie: Ignazio La Russa e gli sprechi indecenti: . Assolutamente detestabile da ogni persona che abbia un minimo di intelligenza, buonsenso e cuore. Uno dei peggiori elementi in tutto il P...

EURO E IL BA,LLO DI SAN VITO


A mio avviso questo è uno degli articoli più interessanti che dà spiegazione dell'attuale crisi dell'euro, dà la cronistoria dei fatti e degli avvenimenti che hanno anticipato e causato questa grave situazione che potrebbe mettere a repentaglio l'esistenza della zona euro, d'altra parte abbiamo costruito un'entità astratta che si fonda solo su parametri economici e finanziari, ma la distanza cultutale,politica,linguista, è abissale e difficilmente potrà permettere che questa entità possa durare a lungo.

Monti non è il meno peggio. E' l'ultimo rantolo prima del Ballo di San Vito

di Giulietto Chiesa.

Il punto di partenza di questo ragionamento è una constatazione: nel 2007 è sopravvenuto il crollo repentino del sistema finanziario mondiale (sarebbe più preciso dire del sistema finanziario occidentale, perché la Cina e altri paesi del mondo emergente sono rimasti per ora fuori dalla catastrofe, per diversi motivi che non è possibile qui approfondire). Alla fine del 2007, in sostanza, tutte le grandi banche d’investimento, e affini, che rappresentano il vero potere mondiale al momento attuale - di gran lunga più potenti di quasi tutti i più forti paesi dell’occidente, e indifferenti al destino di questi ultimi - sono andate in fallimento.

La prima cosa da rilevare – ed è molto importante sottolinearlo – è che la finanza mondiale è crollata per cause interne, endogene. Non ha subito minacce da un qualche “esterno” ostile. È affondata da sola. Il che si può anche esprimere in termini economici, con la formula di “crisi sistemica”. Perfino il presidente della Commissione Europea, Manuel Barroso, ha usato recentemente questa definizione. Che significa che una semplice cura (cura da crisi ciclica, cura da crisi di sovrapproduzione, etc.) non basterà per risollevarne le sorti. Anzi, si può dire, al contrario, che è ormai impossibile salvare il sistema, che si è rotto irrimediabilmente perché ha in sé la causa della sua fine.

Le cause di questo disastro sono da analizzare, ma qualche data di riferimento è già possibile individuarla. La più importante delle quali è il 12 novembre 1999, quando il presidente William Jefferson Clinton promulgò la legge Gramm-Leach-Bliley, che cancellava la legge Glass-Steagall del 1933 e dava licenza alle banche d’investimento e a tutta una serie di operatori finanziari, di lanciarsi in ogni forma di attività speculative.

I disastri successivi della finanza americana sono noti, anche se non sono stati abbastanza studiati. Nel 2001 crolla la Enron Corporation, dopo che erano già crollati altri giganti come la LTCM (Long Term Capital Management). Sono solo alcuni esempi dei molti eventi nuovi che cominciarono a palesarsi. Anche in funzione e come effetto di altre norme ultra-liberalizzatrici , come il Commodity Futures Modernization Act (CFMA), anch’esso firmato da Clinton nel 2000, poco prima di lasciare il suo secondo mandato, che legalizzava quasi totalmente la sottrazione da ogni forma di controllo di tutti i prodotti finanziari derivati , sia da parte della Security Exchange Commission (SEC), sia dalla Commissione che controllava il commercio dei futures.

Fu così che prese avvio una forsennata, davvero demenziale, moltiplicazione di derivati finanziari che venivano trattati fuori dalle borse e fuori da ogni controllo. Per rendersi conto di cosa è avvenuto (e di cosa sta continuando ad avvenire mentre scrivo queste righe) basti rilevare che dal 2000 alla metà del 2008 (anno del fallimento globale) questo tipo di operazioni balzarono da circa 100 trilioni di dollari a 684 trilioni.

Ora io affermo che la causa della crisi sistemica attuale deriva dalle decisioni sopra ricordate, che hanno prodotto una liberalizzazione completa dei movimenti di capitali e di creazione di derivati: decisioni che hanno creato le premesse per una smisurata crescita del debito mondiale.

Così, alla “bolla” tecnologica, che produsse il crollo del NASDAQ, seguì poi la bolla dei subprime, che ha portato al crack di quasi tutti i principali protagonisti della finanza occidentale. Questo ha condotto, come sappiamo, alla liquidazione di un gruppo ristretto di questi giganti: sono stati sacrificati, sull’altare della follia, Bear Sterns, Merrill Lynch, Morgan Stanley, Lehman Brothers, ma altri giganti, prima di tutto Goldman Sachs, si sono salvati e hanno continuato a prosperare.

Quello che qui importa sottolineare, di nuovo, è che le regole non sono state mutate affatto. Bisogna trovare una risposta a questa domanda. E la risposta è semplicissima. I “proprietari universali” non lo hanno permesso. Aggiungo: non c'è alcuna ragione per pensare che lo faranno in futuro.

Barack Obama non ha mosso una virgola in questa direzione. E, sotto la sua guida, la Federal Reserve ha erogato (tra il dicembre 2007 e il giugno 2010) la fantastica cifra di 16 trilioni di dollari, a tasso d’interesse uguale a zero, a tutte le più importanti banche d’investimento dell’Occidente. A partire dal gigantesco flusso che erogava a Citigroup 2,3 trilioni di dollari. Tra gli altri, poco meno di un trilione (864 miliardi $) è transitato sui pingui conti di Goldman Sachs.

Le cose curiose sono numerose: la prima è che la Federal Reserve ha rivelato con ciò stesso di essere la banca di tutto l'occidente, il vero e unico prestatore in ultima istanza (e che, se questo stato di cose non cambierà, il sistema è destinato a un crollo globale per molte e convergenti ragioni, la prima delle quali è che gli interessi attuali degli Stati Uniti non coincidono più, ad esempio, con gl'interessi dell'Europa). La seconda è che la manovra è stata fatta segretamente, e in violazione delle stesse leggi americane, che prevedono l’autorizzazione del Congresso degli Stati Uniti per operazioni anche di gran lunga inferiori quanto a dimensioni. La terza è che la Federal Reserve ha ricapitalizzato non solo le banche d’investimento americane, ma tutte le più importanti banche occidentali. Fanno parte dell’elenco, infatti, giganti “europei” come Deutsche bank, Paribas, Union des Banques Suisses, Credit Suisse, Barclays, the Royal Bank of Scotland etc

Questa mossa è il riconoscimento del fallimento globale della finanza americana. Ovvio che non potesse essere resa pubblica, finché qualche benemerito parlamentare non ha costretto la FED a tirare fuori le carte. Ma altrettanto ovvio che, senza cambiare le regole, le banche ricapitalizzate avrebbero continuato a muoversi verso il precipizio alla stessa velocità. Solo che gli asset tossici americani, già sparpagliati su tutto il mercato globale, non potevano e non possono più essere venduti, perché non ci sono più compratori disposti ad acquistarli.

In una certa parte sono stati assorbiti dalla Federal Reserve. Ma gli altri sono rimasti e sono carta straccia inutilizzabile. In sostanza il volume del debito, già spropositato (si calcola da più parti che abbia ormai superato di almeno una quindicina di volte il prodotto interno lordo mondiale, scavando un fossato incolmabile tra il mercato dei beni e servizi materiali e un mercato finanziario sempre più fittizio e irreale) si va ulteriormente ingigantendo.

Chiunque dovrebbe capire che la tenuta di questa nuova bolla, dalle dimensioni senza alcun precedente, non può durare a lungo. E, quando esploderà, l’effetto si annuncia ben più grave del crollo del 1929.

È in questo contesto che esplode il problema dei debiti sovrani europei. La Grecia ha svolto il ruolo di prima vittima, di cavia sperimentale. Ma, se si capisce il meccanismo, si vedrà subito che la questione è di vita o di morte per la sopravvivenza degli Stati europei, di tutti (in quanto Stati sovrani come li conosciamo al momento), e per la sopravvivenza stessa di una Europa sovrana, composta di Stati sovrani.

Non si vede infatti come possa esistere una Europa sovrana se essa risulterà composta di stati assoggettati a logiche e interessi “esterni”, in quanto non sottoposti ad alcuna verifica di legittimità democratica da parte dei rispettivi popoli, che rimangono l'unica sorgente di potere, ma ormai vengono sopravanzati da una logica tecnocratica che non intende e non può più dare spazio ad alcun controllo dal basso del suo operato.

L'origine di questa crisi è, a mio parere, il derivato di un tentativo disperato delle grandi banche d'investimento di riprendere la corsa forsennata a redditività "over 15%"(il famoso ROE, ovvero Return on Equity), nelle condizioni in cui la crescita dell'intero occidente (sempre che ce ne sia una) è ormai confinata nei decimali dell'unità. Se c'è una prova della follia, sta proprio in questa assurda pretesa.

L'occasione era già stata preparata nel momento stesso e nel modo in cui fu concepito l'euro. Fu in quel momento, alla fine degli anni '90, che l'Europa autorizzò le banche d'investimento del pianeta a considerare a zero rischio i debiti dei paesi dell'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).

Come scrive il New York Times in un articolo assai rivelatore dell'11/11/11, erano loro quelli che “made it”, che avevano fatto il grande passo di creare una moneta nuova. Che, nelle intenzioni di alcuni, avrebbe dovuto diventare un alter ego del dollaro, nelle intenzioni di altri un contraltare del dollaro, un'alternativa alla divisa statunitense. Ma in ogni caso si trattava di un'operazione dall'evidente significato globale e occorreva lanciare in tutte le direzioni un messaggio di assoluta sicurezza: noi saremo in grado di proteggere tutti da ogni fallimento. Appunto: i capitali che arriveranno qui saranno assicurati al 100%: rischio zero.

Adesso sappiamo che si sbagliarono di grosso. Ma allora sembrava il contrario, e non ci furono voci che misero in discussione quell'assunto.

Le grandi banche d'investimento, quelle americane in primis (ma anche quelle europee, i gestori dei fondi pensione, dei fondi comuni, delle compagnie di assicurazione, tutti emergenti dal disastro dei subprime che si erano sparsi come un'epidemia su tutti i mercati), si precipitarono a piazzare le loro liquidità (o, più brutalmente, nell'aprire altri debiti) nell'acquisto dei bonds europei.

E, come di nuovo scrive il New York Times nell'articolo citato (“What banks once saw as safe has now turned toxic”. Quello che le banche avevano considerato sicuro, si è ora trasformato in tossico), «intrappolati nel caos del subprime, i prestatori avevano visto il debito europeo come un paradiso da cui trarre profitto». E, per trarre il massimo profitto, in situazione pressoché disperata di insolvenza, ecco che, «per paura e avidità», si gettarono su quei bond che avrebbero garantito il massimo interesse. Dunque il loro obiettivo diventarono subito non i più sicuri (era stato detto che tutti sarebbero stati ugualmente sicuri, sebbene l'evidenza dicesse il contrario), ma i più redditizi. L'esempio greco è illuminante.

Ma, a parte i sesquipedali “errori” di valutazione della finanza internazionale, più simili a cecità ideologica assoluta, si vede qui in trasparenza che l'Europa odierna, quella di Lisbona, altro non è che il luogo dove le decisioni dei “proprietari universali” (così li chiama, opportunamente, Luciano Gallino) vengono trasformate in leggi, cioè dove la rapina del sistema a danno degli Stati e dei popoli viene legalizzata.

Intendo precisare che la finanziarizzazione del debito pubblico degli Stati non è stato un incidente di percorso, né un portato oggettivo di tendenze inevitabili. Essa è stata introdotta da noi con una decisione politica precisissima, ben meditata e preparata. Questa decisione politica si chiama Trattato di Maastricht e, per realizzarla, sono state spese risorse enormi, un esercito di propagandisti e zelatori è stato messo in movimento, armato e finanziato da decine di centri di influenza, di think-tanks, di lobbies.

Qui varrebbe la pena di analizzare in dettaglio come funziona la macchina che ha prodotto una tecnocrazia di “posseduti” dal denaro.

Una rete di rapporti che copre tutte le assemblee elettive europee, i governi, le coorti di funzionari provenienti dai centri universitari sotto il controllo della finanza, le commissioni governative, i dipartimenti della Commissione Europea, i dirigenti dei partiti politici.

Questo campo di forze è stato cementato dall'ideologia della insostituibile efficienza dei mercati finanziari, dalla sacralità delle valutazioni delle agenzie di rating, dall'ideologia della crescita, mantra che porta in sé una serie di corollari dogmatici assoluti: la inevitabilità della globalizzazione, l'interesse superiore che deve annullare, in nome della stessa crescita, ogni pretesa di “particulare”, di “local”, di non standardizzato. Cioè, per definizione di questo stuolo di sacerdoti della religione del dominio finanziario, ostile all'efficienza, cioè ostile alla “razionalità della rapina”.

È con questa micidiale rete di pressioni che il ristrettissimo vertice dei “proprietari universali” riesce a far passare la propria visione del mondo. È mediante questo esercito di “posseduti”, del quale sono parte integrante i massimi dirigenti politici dei partiti di destra e di sinistra, dei ministri di ogni ordine e rango, dei vertici militari e dei servizi segreti, degli ambiti accademici più importanti e meglio retribuiti che è passata l'ideologia del pensiero unico finanziario.

Il risultato è stato ottenuto, e ben prima di questa crisi. Il Trattato di Maastricht vieta alle banche centrali di finanziare direttamente gli Stati, obbligandoli, letteralmente, a cercare prestatori nei mercati finanziari.

Il debito degli Stati si trasforma così in una merce finanziaria, che può essere comprata e venduta su ogni mercato, può essere oggetto di speculazione e scommessa, può essere spezzettata in parti e inserita in “pacchetti” di derivati, districare la cui composizione diventa impossibile a chiunque.

I destini sottostanti dei popoli, delle donne e uomini in carne ed ossa, vengono totalmente oscurati. Ciò che rimane visibile sono le sequenze di valutazioni delle borse che ormai sfilano sotto gli occhi dei telespettatori nella stazioni ferroviarie, sui treni, in ogni programma informativo. È l'ipnosi di massa cui è impossibile sottrarsi. Il tenore di vita di milioni e milioni di individui viene sconvolto in base a meccanismi che paiono inesorabili, comunque sconosciuti alle grandi masse, spesso manovrati da pochissime mani, spesso addirittura frutto di elaborazioni automatiche di computer opportunamente preparati.

Sono decine gli esempi che potrebbero essere portati per svelare il meccanismo del dominio dei “proprietari universali”, un dominio che ha già annullato da tempo ogni illusione di democrazia. La democrazia liberale, la divisione dei poteri, sono stati da tempo sostituiti da meccanismi decisionali che scavalcano ogni forma di controllo. Nell'utilissimo libro di Luciano Gallino intitolato “Con i soldi degli altri”, vengono portati esempi al tempo stesso agghiaccianti e illuminanti di come l'Europa, cioè il Consiglio, la Commissione, il Parlamento usino commissionare la stesura delle regole a gruppi privati di “esperti”, che sono, tra i “posseduti”, i più direttamente legati proprio ai grandi centri finanziari.

È superfluo notare che normative cruciali sono state fatte passare nella più grande ignoranza della stragrande maggioranza degli stessi parlamentari europei, che votano quasi tutto ciò che viene loro proposto senza sapere cosa votano e come è stata confezionata la polpetta avvelenata che viene loro proposta, compilata in uffici privati, a loro volta profumatamente retribuiti per organizzare la rapina su pubblici ignari.

Alla luce di tutto questo, non dovrebbe stupire il fatto nuovo che stiamo registrando: di fronte a una crisi che diventa sempre più ingovernabile, i “proprietari universali” appaiono costretti a portare al potere, direttamente nei singoli Stati, i loro uomini più fidati.

La politica tradizionale, negli Stati più deboli, è troppo corrotta e inefficiente, troppo necessitata dallo scendere a patti – nel modo più indecoroso, naturalmente, cioè con il voto di scambio – per poter consentire la macelleria sociale necessaria. Quindi si va verso “governi tecnici” (presentati cioè come tali, ma niente affatto tecnici) guidati da uomini di assoluta fiducia, che devono agire al di fuori delle norme democratiche precedenti. L'arrivo al potere in Grecia di Lucas Papademos (ex governatore della Banca Centrale Greca dal 1994 al 2002, cioè uno degli organizzatori dei conti truccati fatti da Goldman Sachs, che hanno aperto l'offensiva contro Atene), di Mario Draghi al vertice della Banca Centrale Europea (uomo di Goldman Sachs, come vice-presidente per l'Europa dal 2002 al 2005, stessi anni in cui si realizza l'affondamento greco), di Mario Monti alla testa del governo Napolitano (anche Monti, che dal 2005 era consigliere internazionale della stessa Goldman Sachs): tutti questi avvicendamenti, accompagnati dalla ripetizione che si devono adottare “misure impopolari”, cioè misure antipopolari, e che non si deve assolutamente chiedere il parere dei popoli, cioè niente elezioni, niente referendum, solo decisioni “tecniche” per realizzare la T.I.N.A. (There Is No Alternative), dimostrano che la situazione è divenuta ormai ingovernabile e che i poteri forti hanno scelto di adottare misure energiche per affrontare l'imprevisto.

Tra le misure energiche, ovviamente, non è previsto il cambio delle regole vigenti. Se non nel senso, del tutto opposto, di trasformarle in leggi universali alle quali non sarà possibile sfuggire. Non è un caso che i governi di Grecia e Italia siano stati di fatto commissariati dalla Banca Centrale Europea (e da Goldman Sachs), invertendo quasi comicamente il dogma già elevato sugli altari bancari dell'occidente: la Banca Centrale dev'essere del tutto indipendente dai poteri politici. Adesso i poteri politici sono diventati dipendenti da quelli della Banca Centrale, al punto che è quest'ultima che decide come si formano e come devono essere esautorati.

In fila, ad aspettare la loro sorte, ci sono Spagna, Portogallo, Irlanda. E, tra non molto, anche Francia e altri. Dunque il costo del presunto risanamento (comunque impossibile perché la massa del debito e di diversi ordini di grandezza superiore alle possibilità tecniche di ripianarlo) deve ricadere sulla gente comune europea. Questo, a sua volta, significa la rottura del patto sociale che ha retto la costruzione europea negli ultimi cinquant'anni. In particolare questa rottura sarà percepita subito dai paesi dell'Europa occidentale, che hanno potuto apprezzare i vantaggi del welfare state. Il resto dei 27 percepirà con qualche ritardo, ma non potrà uscirne meglio.

Resta il grande interrogativo: quale sarà la reazione popolare a questa svolta, sicuramente drammatica? Il quadro visibile dice che, in questo momento, in Europa non esiste una opposizione organizzata, continentale, a questa svolta.

I partiti delle sinistre si rivelano imbelli e privi di ogni visione alternativa. Le leadership, sia di destra che si sinistra, non solo non si rivelano all'altezza, ma danno l'impressione di non capire nemmeno quello che sta accadendo.

E neanche questo non deve stupire. Essendo essi “posseduti”, non fanno che riflettere l'incertezza e il panico che pervade i “proprietari universali” loro committenti.

Si danno due esiti possibili: nel primo i popoli europei saranno schiacciati, cioè divisi, manipolati e repressi, con varie gradazioni di ciascuna di queste componenti. Oppure reagiranno. Ma, privi di guida come sono, lo potranno fare solo in forme confuse, senza obiettivi politici comuni, senza una “visione strategica”. Il rischio è una generale deriva a destra, verso forme xenofobiche, reazionarie, isolazioniste, primitive. E, anche questa è la premessa per una sconfitta epocale, che precede una catastrofe continentale: in primo luogo dei diritti e delle libertà, in secondo e immediato luogo, delle condizioni sociali di larghissime masse di popolo.

Tutto ciò impone una riflessione di tutti coloro che, invece di piangere e deprecare, si pongo il problema del che fare. Quello che manca è un grande partito europeo di alternativa. Un “Partito dei Popoli Europei”. Da creare nei tempi più rapidi possibile. I movimenti, per lo più giovanili, che si stanno formando, possono esserne la base. L'essenziale è non illudersi che, da soli, possano produrre questo partito europeo.

Ma la cosa più grave è che, con queste ricette (quelle di Draghi, Monti e Napolitano, cioè quelle della finanza vincente) non si risolverà nulla. Tutte le chiacchiere con cui viene ammantata la serie delle misure anti-popolari sono fondate sull'ipotesi di una futura crescita economica. Ma tutto ciò che sappiamo è che l'Europa sta andando in recessione, tutta intera. La stessa locomotiva tedesca è prevista in crescita, per il 2012, dello 0,8%, che equivale alla stagnazione. Per gli altri è peggio. Dunque impostare sulla crescita un programma di sacrifici a intere popolazioni, per salvare le banche, significa costruire sulla sabbia. Tra una manciata di mesi sarà evidente che la crisi della finanza e dell'economia occidentale è irrimediabile.


La prospettiva è un altro 1929. Solo che sarà di gran lunga più devastante. Le previsioni più attendibili vengono da un gruppo di esperti francesi (per questo solo fatto più attendibili, perché ciò che scrivono i commentatori americani e britannici è ormai quasi del tutto inattendibile) raggruppati dietro il bollettino con sigla GEAB (Global Europe Anticipation Bulletin).

Anche loro individuano una “crisi sistemica globale”. Nella quale sono già stati bruciati, dallo scorso luglio, circa 15 trilioni di dollari. La deriva, sostengono, è inarrestabile e porterà alla sparizione nel nulla, da dove sono venuti, di altri 30 trilioni di dollari nel corso del 2012. com'è noto, sono già stati bruciati, dallo scorso luglio, 15 trilioni di dollari. Si prevede che, dopo la svalutazione reale del 50% del debito greco, seguiranno le svalutazioni, mediamente, del 30% dei debiti italiano, spagnolo, portoghese, irlandese.

Tuttavia il gruppo GEAB appare assai meno preoccupato del destino dell'euro di quanto non sia di quello del dollaro USA. Infatti – sulla base di quanto già detto in precedenza in queste righe – la detonazione dei debiti pubblici europei, oltre a mettere in crisi le banche francesi, tedesche, belghe e olandesi, produrrà l'esplosione del debito pubblico americano, data l'esposizione degli investitori istituzionali statunitensi sul debito europeo. La cifra più impressionante in merito viene dalla valutazione del debito privato negli Stati Uniti che, oltre allo stato pre-comatoso di quello pubblico, ha ormai raggiunto il 240% del PIL (basti pensare che il debito privato greco, già altissimo, raggiunge appena il 120% del PIL di quel paese. Quello italiano, si noti, è appena del 43% del PIL). La conseguenza, prevista, potrebbe essere una misura obbligata: la svalutazione del dollaro del 30% almeno, unico modo per attenuare il peso dell'indebitamento complessivo degli Stati Uniti.

In sostanza chi sta peggio non è l'Europa, ma sono gli Stati Uniti. In queste condizioni una vittoria di Obama appare sempre meno probabile. E se vince uno dei candidati repubblicani, c'è ragione di temere il peggio per il contesto internazionale. Perché anche di questo occorre tenere conto. La crisi colpisce l'economia e la finanza occidentale, ma occorre cercare di capire gli effetti che questa produrrà sul resto del mondo e sulle sue relazioni con l'Occidente. Una cosa è certa: il quadro mondiale sta entrando in una fase di vertiginosa ebollizione. È il contesto che prepara una guerra.

J.LO COME PRENDERSI GIOCO DEI SENTIMENTI



Nel suo recente spot per la Fiat 500 Jennifer Lopez dice di aver ritrovato le sensazioni provate nel ripercorrere le strade tanto amate sin da bambina: «Questo posto è il mio mondo. Questi luoghi mi spingono a essere più tenace, a pensare più velocemente. Per voi sono solo strade, ma per me sono un parco giochi». Peccato che le scene non siano girate a New York nel Bronx ma bensì a Los Angeles, poco male i trucchi scenografici ci possono stare, ma poteva risparmiarsi il racconto patetico dei ricordi della giovinezza, ben sapendo di non essere materialmente lì, bensì a 5000 di miglia di distanza, come dice il proverbio: "lontano dagli occhi, lontano dal cuore" sì ma non dal portafoglio.

GUERRA CHIMICA: GLI ORRIBILI DIFETTI ALLA NASCITA COLLEGATI AI PESTICIDI

Credo che una delle funzioni principali che ha ilweb sia quello di informare e dare notizie che altrimenti non verrebbero mai conosciute se non da una piccola schiera di persone, questa è una di queste, non meno sconvolgente di molte altre ma comunque grave e preoccupante, non dobbiamo pensare che se certi fatti avvengono lontano da noi non ci riguardino od interessino, prima o poi ci coinvolgeranno direttamente ed allora pentimenti e lacrime saranno inutili.

PER I POMODORI

DI BARRY ESTABROOK
The Ecologist

I “bambini di Immokalee” hanno riportato alla nascita gravi malformazioni a causa delle infezioni da pesticidi contratte dalle loro madri durante la raccolta dei pomodori. Barry Eastbrook ci parla del caso che ha scioccato gli Stati Uniti.

Tower Cabins è un campo di lavoro costituito da una trentina di baracche e qualche roulotte in rovina, tenute insieme da un recinto di legno non verniciato a sud di Immokalee, nel cuore delle grandi piantagioni di pomodori della Florida sud-occidentale.

La comunità di poveri braccianti immigrati è desolata nel migliore dei casi, ma poco prima del Natale di qualche anno fa avevano di che rallegrarsi. Tre donne, tutte vicine di casa, stavano per partorire a breve distanza l’una dall’altra, nel giro di sette settimane. Ma nella vita dei raccoglitori di pomodori è sottile il confine tra speranza e tragedia.

Il primo bambino, figlio del 20enne Abraham Candelario e della moglie 19enne Francisca Herrera, arriva il 17 dicembre. Lo chiamano Carlos. Carlitos (come è soprannominato) nasce con una rarissima forma di “sindrome di tetra-amelia”, che gli provoca in breve la perdita sia delle braccia che delle gambe.

Circa sei settimane più tardi, un paio di capanne più in là, Sostenes Maceda dà alla luce Jesus Navarrete. Il bambino soffre della sequenza di Pierre Robin, una disfunzione della mascella inferiore per cui la lingua tende continuamente a riversarsi all’interno della gola, rischiando di farlo morire soffocato. I genitori sono costretti a nutrirlo per mezzo di un tubo di plastica.

Due giorni dopo la nascita di Jesus, Maria Meza mette al mondo Jorge. Ha un orecchio solo, niente naso, una palatoschisi, un unico rene, niente ano e nessun organo sessuale visibile. Solo dopo un esame dettagliato di quasi due ore, i dottori riescono a stabilire che Jorge è in effetti una femmina. I genitori le cambiano il nome in Violeta. Ma le malformazioni congenite sono così gravi che sopravvive soltanto tre giorni.
Oltre al fatto di vivere nel raggio di cento metri l’una dall’altra, Herrera, Maceda, e Meza hanno un'altra cosa in comune. Lavorano tutte per la stessa compagnia, l’Ag-Mart Produce, e nello stesso sconfinato campo di pomodori. I consumatori conoscono Ag-Mart soprattutto per i suoi pomodori commercializzati con il nome Ugly-Ripe e i grappoli di Santa Sweets venduti in contenitori di plastica a forma di conchiglia, abbelliti con tre sorridenti e danzanti pupazzi-pomodoro di nome Tom, Matt e Otto. "I bambini amano fare merenda con le nostre sorprese", dice lo slogan della compagnia.
Dalle file di pomodori dove lavoravano le tre donne durante i mesi di gravidanza, non si godeva di una visione così confortevole. Un cartello all’entrata avvertiva che la piantagione era stata trattata durante la stagione della semina con almeno trentun tipi diversi di composti chimici, molti dei quali erano indicati come “altamente tossici” e almeno tre l’erbicida Metribuzin, il fungicida Mancozeb e l’insetticida Avermectin sono noti per i loro effetti nocivi "per lo sviluppo e la riproduzione", secondo il Pestice Action Network. Sono teratogeni, ossia possono provocare malformazioni alla nascita.
Violazioni della sicurezza

Per l'utilizzo agricolo di questi veleni negli Stati Uniti, l'Environmental Protection Agency impone "intervalli d'accesso ristretto" (REI nel gergo dell'agricoltura chimica) tra il momento in cui i pesticidi vengono applicati e quello in cui è consentito ai lavoratori di accedere alla piantagione. In tutti e tre i casi, le donne hanno dichiarato di aver ricevuto ordine a procedere al raccolto in violazione della normativa REI.

"Mentre lavoravamo alla piantagione, sentivamo distintamente l'odore degli agenti chimici", ha raccontato Herrera, madre di Carlitos. Accertamenti successivi hanno dimostrato che Herrera lavorò in campi trattati di fresco con il mancozeb dai ventiquattro ai trentasei giorni dopo la concezione, la fase in cui il feto inizia a svilupparsi fisicamente e neurologiamente.

Meza ricorda: "Mi è successo diverse volte al lavoro di respirare l'agente chimico una volta che si era seccato e polverizzato." Nonostante la normativa imponga a chi maneggia simili pesticidi l'utilizzo di maschere protettive, guanti appositi, grembiuli di gomma e respiratori al vapore, le tre donne hanno dichiarato di non esser state avvertite dei rischi dell'esposizione agli agenti chimici. Non indossavano equipaggiamenti protettivi, a parte le bandane con cui si coprivano (inutilmente) la bocca per cercare di evitare l'inalazione.

Herrera ha inoltre raccontato di essersi sentita male durante tutto il periodo in cui lavorò alla piantagione, di esser stata soggetta a attacchi di nausea, vomito, vertigini e a svenimenti. Occhi e naso le bruciavano per l'irritazione. Aveva sviluppato anche eruzioni cutanee e ferite aperte.

Mollare il lavoro non era possibile. Herrera ricorda che il suo capo, un sub-appaltatore di Ag-Mart, le disse che se si fosse ritirata sarebbe stata cacciata a pedate dall'alloggio fornitole presso la piantagione. Ironia della sorte, l'imminente arrivo del primo figlio rendeva ancor più indispensabile per lei e il marito un tetto sopra la testa. Lavorò alla piantagione a partire dal concepimento fino al settimo mese di gravidanza, una manciata di settimane prima dell'arrivo prematuro di Carlitos. E anche dopo aver lasciato la piantagione, continuò a lavare a mano gli abiti contaminati di suo marito e del fratello, Epifanio.

La malformazione alla mascella di Jesus si dimostrò meno pericolosa di quanto era sembrato all'inizio, e i dottori dissero alla madre che le condizioni del bambino sarebbero probabilmente migliorate con la crescita.
I genitori di Violeta dovettero piangere la morte della bambina. Ma dopo la nascita di Carlitos, i problemi di Herrera e Candelario non fecero che aumentare. Si avvicinava la fine della stagione del raccolto invernale in Florida, e la famiglia sarebbe dovuto emigrare a nord per trovare lavoro. Ma Carlitos necessitava di cure mediche costanti che gli venivano fornite per mezzo di un'agenzia locale, la Children’s Medical Services della contea di Lee. Pur essendo cittadino americano per nascita, i suoi genitori erano messicani e privi di documenti. L'espulsione dal Paese era un rischio reale.

Le cose peggiorarono ulteriormente quando a tre mesi di età il bambino sviluppò problemi respiratori. Periodicamente doveva essere trasportato in aereo da Immokalee al Miami Children's Hospital. Privi di automobile, Herrera e Candelario dovettero farsi accompagnare dagli operatori sociali da un capo all'altro dello Stato, in viaggi che potevano durare anche cinque ore e che erano possibili solo nei giorni in cui Candelario non veniva chiamato alla piantagione, dove era ancora costretto a lavorare per pagarsi l'affitto.

Assistenza giuridica
Uno degli operatori sociali giunto in aiuto dei genitori di Carlitos si rese conto delle insostenibili difficoltà che la famiglia stava affrontando. In cerca di assistenza legale, contattò un avvocato del posto e questi gli confidò che il caso era talmente complesso che avrebbe sarebbe stato un rompicapo per chiunque. Ma l'operatore aveva comunque un collega specializzato in lesioni personali, affidabilità dei prodotti e in cause per illeciti sanitari.

Alzò la cornetta del telefono e digitò il numero di Andrew Yaffa, partner della Grossman Roth, con uffici a Miami, Fort Lauderdale, Boca Raton, Sarasota e Key West. Senza saperlo, Abraham Candelario, Francisca Herrera e Carlitos stavano per andare incontro a una prima cesura della lunga catena di sventure che avevano segnato sinora la loro esistenza. Chiunque sia stato coinvolto in incidenti d'auto, infortuni sul lavoro o danneggiato da un medico negligente non può fare scelta migliore che affidarsi alle cure di Andrew Yaffa.

Quando lo incontrai, capii subito perché Yaffa è arrivato a essere un avvocato di grido. Il giorno del nostro appuntamento, era indaffarato fuori dalla sala di rappresentanza della sede della sua azienda a Boca Raton. "Vivo come fosse una scatola di Federal Express,” mi disse, "ho pratiche da sbrigare in tutti gli uffici della ditta." Quel pomeriggio si era impossessato del tavolo dell'aula solitamente adibita alle conferenze. Faldoni e raccoglitori sparpagliati ovunque. Il computer portatile aperto. Un suo costoso cappotto buttato sullo schienale di una sedia e la cravatta sciolta. Ogni due minuti sul tavolo suonava un cellulare a cui lui dava un'occhiata veloce per poi rimetterlo a posto senza perdersi un solo squillo.

All'epoca della nascita di Carlitos nel 2004, Yaffa aveva poco più di quarant'anni ed era già uno degli avvocati più quotati di tutto lo Stato. Si era aggiudicato sentenze da milioni e milioni di dollari in processi sostenuti di fronte ad alcuni fra i giudici più esigenti della Florida. Uno dei suoi avversari me lo descrisse in una e-mail come "un grande avvocato […] una persona di solidi principi […] integra […] associato di uno studio prestigioso […] creativo […] innovativo […] brillante […] eticamente ineccepibile."

Yaffa è di statura alta e ha un aspetto fotogenico che lo renderebbe perfetto per la parte da protagonista se qualcuno decidesse di girare una versione cinematografica delle sue crociate forensi. I suoi capelli corti, scuri, sono pettinati all'indietro e laccati a puntino. Il suo bell'aspetto è temperato da una franchezza tipica del Midwest. (In realtà è nativo della Virginia)
Yaffa stabilì con me una confidenza immediata, parlando con voce calma e tono costante. Quando gli chiesi perché avesse accettato un caso così complicato come quello di Carlitos, mi lanciò un'occhiata come a un teste poco collaborativo e disse: “Con questo mestiere ne vedo di tutti i colori. Ma quando vedo un bambino o una famiglia che hanno subito un torto e sono in pericolo, non ho bisogno di molte altre motivazioni.”

In principio, Yaffa aveva stentato a credere al racconto fattogli dal collega. Doveva vedere coi propri occhi e parlare con i genitori del bambino. Erano persone credibili? Una giuria avrebbe potuto fidarsi di loro? Avevano proprio bisogno del suo aiuto? Lasciato in garage il suo abituale mezzo di trasporto - una BMW nuova di zecca - per evitare di attirare l'attenzione, salì su un vecchio Chevy Suburban riservato alle uscite di pesca nei fine settimana e ai viaggi al mare con la famiglia, si allontanò dal suo ufficio di Miami, attraversò per chilometri le praterie disabitate degli Everglades fino alla cadente capanna a due stanze che i genitori di Carlitos dividevano, assieme al loro povero figlio, con altri sette lavoratori immigrati.
Quando Yaffa bussò alla porta, si ritrovò davanti Herrera. Fu colpito dal fatto che quella minuta donna, dalla faccia tonda, era poco più che una bambina. Tutti gli altri inquilini della baracca erano fuori, a lavorare alla piantagione. Carlitos fu piazzato in un seggiolino per bambini. Brandelli di carne secca pendevano da un filo tirato da una parte all'altra del salotto e l'aria umida aveva un odore fetido e pungente. Le mosche erano ovunque. Quanto Carlitos iniziò a fare chiasso, Herrera lo prese (aveva appena sei mesi) e lo mise sul pavimento. Un cucciolo di cane che gli inquilini della baracca avevano adottato si mise ad abbaiare in giro, e il bambino lo osservava sorridente.
“Né braccia né gambe”

Il cucciolo guaiva, saltellava, e cominciò a mordicchiare Carlitos. Il bambino iniziò a gridare: non aveva possibilità di scacciare una mosca o di allontanare un cagnolino, andava incontro a una vita piena di bisogni. “I pesticidi si erano insinuati dentro di lei colpendo quel bambino e guarda un po', nasce senza braccia né gambe”, mi disse Yaffa.
Parlando in spagnolo, l'avvocato tentò di cavare qualcosa da Herrera, che a sua volta lo parlava assai poco. Come per molti braccianti immigrati, la sua prima lingua e quella con cui si sentiva più a suo agio era un dialetto dei nativi indiani. Yaffa spiegò di essere stato contattato da un operatore sociale e di essere lì con un solo scopo: aiutarla. Le disse che il processo non sarebbe pesato sulle sue spalle. Come d'abitudine per gli avvocati nel suo campo, si sarebbe fatto carico lui di tutte le spese processuali e, come retribuzione, avrebbe avuto una percentuale dell'eventuale risarcimento.

Quando Herrera finalmente fece con la testa un cenno d'assenso, Yaffa promise che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarla. Ma si trattava di un rompicapo persino per un avvocato di successo e d'esperienza come lui. Per via delle quasi infinite variabili – ereditarietà, esposizione ad agenti chimici su altri luoghi di lavoro, possibili abusi di fumo o di droga, fattori ambientali - dimostrare le connessioni tra esposizione a pesticidi e malformazioni fetali è notoriamente un'impresa ardua.

Anziché adottare l'approccio convenzionale e cercare di identificare i veleni all'origine del danno, per citare la compagnia che lo aveva prodotto Yaffa decise di fare qualcosa che non aveva mai fatto. Avrebbe provato a ottenere un rimborso dalla fattoria dove Herrera lavorava. In sostanza, avrebbe chiamato in causa l'intero sistema di coltivazione moderno e la filosofia dei pesticidi su cui è basato.

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Fonte: Chemical warfare: the horrific birth defects linked to tomato pesticides

giovedì 24 novembre 2011

IL BENGODI DEI PARTITI



Rimborsi, benefit e sconti col fisco
Il Bengodi dei partiti
di Ferruccio Sansa | 24 novembre 2011

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/24/rimborsi-benefit-e-sconti-col-fisco-il-bengodi-dei-partiti/172754/

Ogni anno costano 217 milioni. I tagli del 30 per cento? Diventati del 3 per cento. E poi l'indennità, diarie, trasporti quasi gratis e perfino i parrucchieri. Però a loro non basta mai
E= mc al quadrato. Per una formuletta di tre lettere Einstein ha guadagnato il Nobel. Chissà che premio conquisterebbe uno scienziato capace di calcolare i rimborsi elettorali dei partiti italiani. Alla faccia della trasparenza. Ma quanto paghiamo ogni anno ai partiti? Nel 2011 circa 180 milioni (172 milioni per Camera, Senato, Europee e regionali cui vanno aggiunti amministrazioni a statuto speciale e referendum). Contando le voci accessorie si tocca quota 217, 5 milioni (senza contare esenzioni fiscali e sanatorie che vedremo). Un calcolo improbo (guarda l’infografica). Primo, i finanziamenti sono divisi in cinque fondi, uno per ogni elezione (Camera, Senato, Europee, Regionali e referendum). Secondo, la somma va divisa per anni e per consultazioni elettorali. Per dire, nel 2010 i partiti hanno preso i rimborsi per le politiche del 2006. Ma nel frattempo si erano svolte anche quelle del 2008. Gli uffici della Camera spiegano: “In alcuni anni i rimborsi si sommano”.

Per non parlar di mazzette. E la riduzione promessa del 30%? Quasi nulla: nel 2008 i rimborsi, sommando Camera e Senato (+ 10 % rispetto al 2011), Europee (+ 2 %) e regionali (-15 %) arrivano a 177 milioni. I tagli sarebbero del 3%. Ma in quell’anno si sovrapposero i rimborsi di due elezioni politiche, aggiungendo altri 37 milioni, per un totale di oltre 250. La politica è vorace. Qualche maligno, vedendo quanto entra nelle casse dei partiti dalle mazzette, sostiene che potrebbe bastare (ogni anno la corruzione ci costa 60 miliardi, quanto gli interessi sul debito). Ma oltre ai finanziamenti illeciti ci sono quelli legali. Qui forse i partiti contano sulla memoria corta degli italiani che nel referendum del 1993 avevano votato con il 90, 3 % contro il finanziamento pubblico. Ma è bastato cambiare il nome e i soldi sono rimasti. Anzi, sono aumentati a dismisura. Oggi si chiamano “rimborsi elettorali”.

I risultati sono paradossali, anche senza contare casi come quello ricordato da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella del partito che alle Europee del 2004 spese 16. 435 euro e ne ricavò un rimborso di 3 milioni. Dal 1998 al 2008 i “rimborsi” ai partiti sono aumentati del 1110 %. Dal 1976 al 2006 gli italiani hanno sborsato ai partiti oltre 3 miliardi. Meglio non fare confronti: ogni francese paga 1, 25 euro l’anno, gli spagnoli arrivano a 2, 58, mentre noi italiani sfioriamo quota 3, 62 (contando i contributi ai giornali). Per carità di patria bisognerebbe tacere degli Stati Uniti, dove i cittadini pagano mezzo euro e una volta ogni 4 anni (per le Presidenziali).

Non basta: in sedici anni lo Stato ha pagato 600 milioni di euro (37 milioni l’anno) per i cosiddetti giornali organi di partito. Decine di testate, alcune storiche come l’Unità, altre figlie di partiti nemici di Roma Ladrona, come la Padania o il Foglio della famiglia Berlusconi e di Denis Verdini. Ma si ricorda anche dei contributi al Campanile nuovo dell’Udeur di Clemente Mastella. Giornali con una buona diffusione, ma anche testate mai viste in edicola. Fin qui le voci (faticosamente) quantificabili.

Ci sono state altre entrate sparse in mille leggi e leggine. Prima c’era stata la storia del 4 per mille infilato nella dichiarazione dei redditi. Ma è stata eliminata. Anche perché aveva portato una miseria. Poi ecco una norma mimetizzata nel testo unico sulle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche: prevede un’esenzione fiscale del 19% sulle donazioni. In pratica su 100 euro di donazione 19 li mette lo Stato.

Questioni di famiglia. Con esiti sconcertanti, come ricordato da Rizzo e Stella: “Le aziende di Francesco Gaetano Caltagirone e della sua cerchia familiare hanno donato tra il 2008 e il 2010 all’Udc di Pier Ferdinando Casini, marito di Azzurra Caltagirone, 2 milioni e 700. 000 euro in 27 assegni da 100.000 euro”. Perché tante complicazioni? “Le donazioni ai partiti, fino a un tetto di 103. 000 euro, hanno appunto uno sconto fiscale del 19 per cento. Avessero fatto un assegno unico, con quel tetto, le aziende Caltagirone avrebbero potuto risparmiare 19. 000 euro. Facendone 27 ne hanno risparmiati 19. 000 per ciascuno. Risultato finale: uno sconto di 513. 000”. Niente di illegale, la colpa non è di Caltagirone. Ma se invece che al partito del genero avesse regalato la somma, per dire, a un’associazione per bambini malati avrebbe avuto sgravi fiscali 51 volte inferiori.

Così ai 220 milioni di euro ne vanno aggiunti altri. Impossibile dire quanti. Dovrebbero bastare. E invece no, perché poi a questo bisogna aggiungere stipendi e benefit di tanti esponenti di partito che sono parlamentari o consiglieri regionali. Un elenco che per gli inquilini di Montecitorio è lungo come un rosario: l’indennità mensile, dopo le ultime riduzioni, è pari a 5. 246, 97 euro netti (5. 007, 36 per chi svolge altri lavori). La diaria, riconosciuta a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma è di 3. 503, 11 euro. Il rimborso per spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori vale 3. 690 euro.

Pure i gettoni. Per i trasporti ogni deputato usufruisce di tessere per la libera circolazione (in Italia) autostradale, ferroviaria, marittima e aerea. Per i trasferimenti dal luogo di residenza all’aeroporto più vicino e tra l’aeroporto di Roma-Fiumicino e Montecitorio, è previsto un rimborso trimestrale (da 3. 323, 70 a 3. 995, 10 euro). Il Parlamento non fornisce cellulari, ma ogni deputato dispone di 3098, 74 euro l’anno per le spese telefoniche. Ecco poi l’assegno di fine mandato e il vitalizio che a ogni legislatura si promette di eliminare. Infine parrucchieri (uno ogni 52 parlamentari), bar e ristoranti che costano come il dopolavoro ferroviario. Per non dire delle auto blu. Infine le sanatorie per l’affissione abusiva di manifesti elettorali. Un classico. Così un writer che scarabocchia un muro di Roma si becca 500 euro di multa. Mentre un partito che imbratta mezza Italia si vota la sanatoria che liquida le multe con mille euro.

da Il Fatto Quotidiano del 24 novembre 2011

ANCORA SULLA BIANCOFIORE (MA POI BASTA)


http://www.frangipane.it/read_news.php?id=862

Cari Amici,
la deliziosissima e sgrammaticata onorevole Michaela Biancofiore, della quale vi ho parlato nell’Editoriale precedente, è incorsa ora anche nelle considerazioni – divertentissime – di Giannantonio Stella, editorialista del Corriere della Sera. Leggetele oggi a pagina 49. La Biancofiore, deputata bolzanina, è stata eletta per il PDL in una lista blindata della Campania. Fa l’ultranazionalista e frattanto ha condotto allo sfascio il suo partito in Alto Adige: un successo travolgente, un soggetto divertente.
Un abbraccio a tutti
Ettore Frangipane

Se per l’onorevole l’italiano è un optional

Alle elementari chi ha promosso Michaela Biancofiore?

«A scuola, allora, si cominciava con le aste, centinaia di aste su quaderni a quadretti con la matita, non ancora col pennino e l'inchiostro. Poi, si passava alle vocali; poi, alle consonanti; poi, all'assemblaggio di una consonante e di una vocale; quindi, si congiungevano le sillabe per formare parole. E si copiavano parole dal sillabario e si facevano schede d'esercizi. Esercizi che duravano dei mesi...».
Ecco, l'onorevole ripetente Michaela Biancofiore dovrebbe ricominciare da quell'ultima intervista data da Leonardo Sciascia a Le Monde prima di morire. Riparta dalle aste. O almeno dalle vocali: a-i-u-o-l-e. Perché una cosa deve mettersela in testa: deve piantarla di difendere l'italianità dell'Alto Adige commettendo strafalcioni mostruosi non solo per un deputato ma per un somaro della seconda elementare. Si è schiantata sugli accenti («dò», «stà», «pò»), ha detto che gli avversari la vogliono «distrutta, annientata, denigrata, scanzonata» (voce dello sconosciuto verbo michaeliano «scanzonare»), ha inventato «l'amantide religiosa». Creatura che, con l'apostrofo lì, è ignota in natura. Insomma: un disastro.

Prendiamo la sua ultima battaglia, contro la rimozione, dalla parete del Palazzo degli Uffici finanziari di Bolzano di un altorilievo che raffigura il Duce a cavallo. Ricordate? Berlusconi fece con Durnwalder nell'autunno 2010 un accordo scellerato: la Svp s'impegnava a non votare, in quel momento delicato, la sfiducia a Bondi e in cambio Roma dava ciò che nessun esecutivo, di destra o sinistra, aveva mai concesso: lo stop ai restauri del monumento alla Vittoria, la rimozione dell'altorilievo e lo spostamento del monumento all'Alpino di Brunico. Tre simboli dell'italianità vissuti dalla Svp come ferite. Bene: mentre scoppiava la rivolta, la ripetente «pasionaria» pidiellina se ne restò muta: «Invito tutti alla calma. Il governo ha già abbastanza problemi».

Entrata tardi in battaglia per amore berlusconiano, la Biancofiore ha però ragione: non c'è senso a rimuovere l'altorilievo. Come ricorda nel libro Non siamo l'ombelico del mondo Toni Visentini, che certo non è un italianista fanatico, «la piazza non è mai stata vissuta (ed è opportuno che non si cominci ora) come "fascista"» anche perché «il bassorilievo - splendido - è opera di un grande scultore bolzanino di lingua tedesca, Hans Piffrader». Cosa resterebbe se i posteri avessero distrutto tutti i ritratti di Giulio Cesare e Luigi XIV, papa Borgia o Ezzelino da Romano? Ormai è lì, ci mettano una targa che spieghi la scelta di non distruggere l'arte nonostante le infamie del Duce e fine.

Ma in nome dell'Italia, dell'italianità e della lingua italiana la Biancofiore la smetta di scrivere, come ha fatto su carta intestata spingendo Emiliano Fittipaldi a riderne su l' Espresso , che si trattò di un accordo preso «senza sentire n'è i dirigenti del Pdl n'è verificare la sensibilità dei nostri elettori...». Ma chi l'ha promossa in terza elementare? Pensa di avere, come deputata, l'immunità ortografica?

Gian Antonio Stella

martedì 22 novembre 2011

PATATRAC FINMECCANICA



Un commento di un lettore del Fatto, molto azzeccato, sensato, pacato, da parte di chi come gran parte del popolo italiano è stato preso per i fondelli dopo essere stato derubato, preso in giro e tosato, ora si chiedono ulteriori sacrifici a chi ha dato tutto, no !!! E' decisamente ora di finirla.



Tempo fa , circa un anno o poco più, la Finmeccanica era considerato uno dei gioielli italiani. Io come penso tanti italiani, ho cercato di sostenere il paese e le aziende migliori. Ho quindi investito i risparmi e la buonuscita (ho perso il lavoro pur non potendo ancora accedere alla pensione) in Titoli di Stato e qualche azione di Finmeccanica. E questo al contrario dei grandi evasori che si sono portati i soldi in Svizzera.
Adesso le azioni di Finmeccanica sono ridotte ad un quarto del loro valore e in questo articolo sono spiegati i motivi. I nostri politici si sono mangiati questa azienda riducendola, come altre, al lumicino. Come fanno le nostre aziende a competere se oltre le mille difficoltà devono sopportare anche il peso della corruzione?
Adesso se Monti vuole fare una cosa “equa” dovrebbe tenere conto dei miei soldi che sono andati in fumo per questi motivi. Invece mi impedisce di prendere la pensione di anzianità e quindi mi lascia senza reddito, non basta mi chiederà l’ICI sulla seconda casa comprata dove abita mio figlio (precario) e forse, ciliegina sulla torta, mi metterà la patrimoniale sulle azioni di Finmeccanica (su quel poco rimasto) e sui titoli di Stato massacrando quel poco risparmio che si è salvato dalla gestione disastrosa del nostro paese.
Questo mentre corruttori, corrotti ed evasori continuano a godersi indisturbati i loro guadagni.
Basterebbe da sola o la tassazione dei soldi portati in Svizzera (facendo lo stesso accordo che ha fatto la Germania) o un recupero del 20% della attuale evasione per non dover chiedere un ulteriore sacrificio ai pensionandi ormai ridotti al lumicino da continui interventi sulla previdenza e allungamenti dell’età utile per andare in pensione, non ultimo il trucchetto della finestra di ben 13 mesi che non esiste in nessun altro paese.
Io dico basta chiedere sempre ai soliti; cominciate a chiedere indietro i soldi di cui a questo articolo e risanate le aziende che così non licenzieranno.

Dal Fatto Quotidiano

Finmeccanica, “200 mila euro destinati
a Casini”. E Guarguaglini “sapeva”

Dai verbali d'interrogatorio il presunto giro di soldi tra l'azienda pubblica e diversi politici. Il consulente Cola chiama in causa l'ex parlamentare Dc e afferma: "Il presidente autorizzava". Il manager Borgogni: "Ero io il collettore dei favori". Spuntano i nomi di La Russa, Giorgetti, Romani, Scajola, Matteoli e dei vertici dell'Udc. Intanto il titolo in Borsa perde il 6,6 per cento e si profila un cambio al vertice

Pierfrancesco Guarguaglini
Trecentomila euro in contanti consegnati “all’onorevole Bonferroni, espressione dell’Udc”. Lo ha raccontato in interrogatorio Lorenzo Cola, superconsulente di Finmeccanica, a proposito del presunto giro di denaro tra l’azienda controllata dal ministero dell’Economia e diversi politici. Il riferimento è a Franco Bonferroni, classe 1938, già deputato e senatore democristiano, in Parlamento fino al 1994, poi membro del consiglio d’amministrazione della società. Nell’interrogatorio del 9 dicembre 2010, Cola dichiara ai pm di Roma di aver consegnato “agli inizi del 2008″ 300 mila euro in contanti “all’on. Bonferroni”, spiegando che “per noi del gruppo Bonferroni era espressione dell’Udc”, “un riferimento politico preciso”.

Cola, che in precedenza aveva sempre assicurato che i vertici Finmeccanica fossero ignari delle tangenti ai politici, nell’interrogatorio del 24 agosto scorso ha cambiato versione, approfondendo anche la terminologia che faceva da sfondo alle sue ‘chiacchierate’ con Guarguaglini. “Nelle nostre discussioni – ha detto Cola ai pm – l’attività di sovrafatturazione e di pagamento di tangenti veniva definita ‘fare i compiti’. Locuzione che serviva per definire anche l’attività di mettere a posto le carte, la contabilità e tutto il resto, per evitare si scoprissero i fatti illeciti che intervenivano. Quando qualcuno incappava in qualche vicenda giudiziaria, e a ciò veniva dato risalto mediatico, dicevamo che avevano fatto male i compiti”.

Guarguaglini, tuttavia, rispedisce al mittente le accuse. “Non ho mai creato fondi neri, non ho mai elargito né dato ordini di elargire somme di denaro a politici e/o partiti” ha detto il presidente di Finmeccanica, il quale ha ribadito che “il signor Lorenzo Cola non è mai stato il suo braccio destro”. Tra accuse e smentite, la vicenda delle presunte tangenti nella società statale continua a tirare in ballo nomi di spicco della politica italiana, Udc in primis.

IL COINVOLGIMENTO DELL’UDC

E’ la seconda vicenda che coinvolge l’Udc, dopo la presunta somma consegnata al tesoriere Giuseppe Naro. Si tratta dei 200 mila euro che, secondo quanto riferito da Tommaso Di Lernia ai pm, erano destinati direttamente a Pier Ferdinando Casini. “Pugliesi (amministratore delegato di Enav, arrestato per la tangente, ndr) mi disse che erano destinati a Casini – ha detto Di Lernia ai magistrati – Vennero consegnati al tesoriere dell’Udc perché erano assenti sia Cesa che Casini, impegnati in un’operazione di voto, secondo quanto disse il tesoriere (Naro, ndr). Riguardo a questa vicenda, Pier Ferdinando Casini, annunciando querele, ha rispedito al mittente i sospetti: “Non mi sembra che le accuse vengano da Santa Maria Goretti” ha detto il leader Udc. In un’intercettazione telefonica, inoltre, si parla di un finanziamento illecito al Pdl di Milano.

GUARGUAGLINI E SIGNORA

Cola esclude “che Pierfrancesco Guarguaglini (presidente di Finmeccanica, ndr) e Marina Grossi (amministratore delegato della controllata Selex Sistemi Integrati e moglie di Guarguaglini, ndr) abbiano mai percepito denaro”, ma almeno Grossi sarebbe stata a conoscenza del “sistema” vigente: ”Si parlava con Marina Grossi del fatto che per lavorare in Enav occorreva pagare tangenti”, ha detto Cola ai pm, in riferimento all’ente che controlla il traffico aereo. “E’ un sistema che lei ha ereditato e che ha continuato a realizzare”.

Quanto al presidente di Finmeccanica, nell’interrogatorio del 1 settembre 2011 allegato all’inchiesta Enav, Cola dichiara: “Guarguaglini autorizzava tali operazioni ovviamente, non caso per caso. Borgogni (Lorenzo Borgogni, responsabile delle relazioni istituzionali del gruppo, ndr) aveva un’investitura a effettuare questo tipo di operazioni per conto del gruppo da parte di Guarguaglini. Di esse occasionalmente egli aveva specifica notizia”. Cola si riferisce proprio ai 300mila euro citati a proposito di Bonferroni.

GLI ALTRI POLITICI

Il consulente racconta anche come avveniva la lottizzazione in Enav: “Formalmente, il potere di nominare il cda spettava al Ministero dell’Economia”. Ma “sul piano sostanziale la nomina era il frutto di una precisa ripartizione politica. In concreto, nella prima fase, ossia tra il 2001 e il 2002, vi era un cosiddetto tavolo delle nomine o laboratorio all’interno della maggioranza, composto da Brancher, Cesa, Gasparri o La Russa e un uomo della Lega”.

Lo scandalo si ingrandisce e il terremoto ai vertici di Finmeccanica sembra imminente. La holding italiana perde pezzi, scossa come è da quanto emerge dagli interrogatori di Cola e di Lorenzo Borgogni, direttore delle relazioni istituzionali, indagato per finanziamento illecito ai partiti e autosospesosi dall’incarico che ricopriva nella società. Il pm della Procura di Roma Paolo Ielo ha chiesto l’arresto di Borgogni per la vicenda degli appalti Enav, arresto negato dal Gip.

PDL O PD?

Secondo il magistrato, “vi è una conversazione telefonica intercettata dalla quale – si legge nella richiesta – si evince con solare evidenza che il ruolo di Lorenzo Borgogni, dentro Finmeccanica, fosse anche quello di occuparsi di contribuzioni illecite al sistema dei partiti”. L’intercettazione è del 21 settembre 2010 e Ielo aggiunge: “Il tenore di tale telefonata appare essere inequivoco. Si tratta di una contribuzione al Pdl, che – continua – rischia di essere confusa con una contribuzione al Pd, palesemente illecita in ragione del fatto che deve essere effettuata con una società esterna”.

Nella telefonata, Borgogni parla con un certo Marco. Marco afferma che “mi ha chiamato Filippo, dice che su, su quel discorso che facciamo ogni anno della loro offerta di partito a Milano… beh, del Pd, credo sia una cosa del Pdl, no? Dice che te ne ha parlato a te pure?”. Borgogni nega, ma Marco insiste: “Su Milano… lui mi ha detto anche che gli hai indicato che non volevi comparire come Finmeccanica ma come una società esterna”. A quel punto, Borgogni prima gli dice “vabbè, se ne parla quando torni dai” e poi, di fronte alle insistenze dell’interlocutore (“lui dice sto all’ultimo, con l’acqua alla gola”), fa capire di non gradire: “Dai Marco maremma puttana Marco”.

LE INCHIESTE DI ROMA E NAPOLI

Il potente uomo comunicazione ha deciso di collaborare con i pm di Napoli, titolari dell’inchiesta Finmeccanica sugli appalti esteri ottenuti dal colosso industriale. I verbali di Borgogni sono stati poi trasmessi anche ai magistrati romani che indagano sugli appalti delle società controllate da Finmeccanica e dall’Enav. Che cosa racconta Borgogni? Racconta di essere “il collettore di rapporti con i politici” per conto di Finmeccanica. “Mi sono sempre occupato – dice – di trasferire le loro richieste alle società del Gruppo. Nomine, assunzioni, appalti. Sono in grado di ricostruire – continua – quanto è accaduto negli ultimi anni”. E quale sarebbe la rete di interessi legati a nomine dettate dai partiti? Borgogni parla di tutti gli schieramenti, dalla destra alla sinistra, passando per il centro. Un episodio è emblematico. Quando Borgogni racconta agli inquirenti che: “Su richiesta del presidente di Enav, Luigi Martini, feci assumere la figlia di Floresta (Ilario, ex deputato di Forza Italia, ndr) in una delle società del gruppo Finmeccanica, che ne aveva fatto richiesta al Martini”.

IL SISTEMA

Il manager avrebbe rivelato agli inquirenti il funzionamento del sistema di spartizione delle poltrone nel Cda di Finmneccanica. Nomine di precisa espressione politica. Come quelle di Piergiorgio Alberti, espressione dell’ex ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola; Nicola Squillace referente dell’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa; Franco Bonferroni come espressione dell’Udc e, infine, Dario Galli della Lega Nord. Ma le cronache di oggi, riportano anche i nomi di Carlo Giovanardi e Gianni Letta. L’ex sottosegretario alla Presidenza del consiglio di ministri – racconta Borgogni – avrebbe indicato i nomi da inserire ai vertici di alcune controllate di Finmeccanica per conto dello stesso Giovanardi. Ma spuntano anche i nomi di candidati avanzati da Giancarlo Giorgetti della Lega. E in un appunto si menzionano Paolo Romani e l’ex consigliere di Tremonti, Marco Milanese. Non solo. Di Lernia ha tirato in ballo anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e il senatore del Pd Marco Follini, all’epoca dei fatti vicepresidente del Consiglio. “Smentisco nel modo più categorico: non c’è nessuna telefonata mia o di persone a me vicine; non ho mai visto, né sentito Di Lernia, non so chi sia” ha dichiarato Follini ad ‘Agorà’ su Raitre, spiegando che “il suo nome l’ho letto dai giornali e scopro che è un faccendiere. Non mi sono mai occupato di queste cose – ha aggiunto l’esponente dei democratici -. Sono indignato ed esterrefatto e sentirò i miei avvocati per una querela”.

Sia Cola che Tommaso Di Lernia, imprenditore romano in affari con Enav-Finmeccanica, tirano in ballo l’ex ministro Pdl Altero Matteoli, che però smentisce qualunque coinvolgimento nella vicenda. ”Martini (presidente Enav, ndr) è espressione anche di Matteoli, a sua volta molto vicino a Optimatica”, afferma Cola. Di questa società aveva già parlato Di Lernia il 27 giugno 2010: “Optimatica è una società vicina al ministro Matteoli, credo che eroghi finanziamenti alla fondazione a lui riconducibile”. L’ex ministro nega decisamente queste ricostruzioni: “La Fondazione che presiedo non ha mai ricevuto finanziamenti dalla società Optimatica, che non è in alcun modo a me legata”.

Solo ieri sera a Report, il presidente Guargaglini dichiarava: ”Io escludo di aver mai dato autorizzazioni del genere e non ne sono mai venuto a conoscenza”. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, Borgogni aggiunge che sui contratti stipulati in questa gestione di “aver agito d’accordo con il presidente Pier Francesco Guarguaglini, del quale sono uno dei collaboratori più stretti”.

L’11 gennaio scorso, Borgogni era stato sentito dal procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo, presenti anche i magistrati Paolo Ielo, Rodolfo Sabelli e Giovanni Bombardieri e aveva ammesso di avere incassato milioni di euro da società che lavorano con Finmeccanica fino ad accumulare 5,6 milioni di euro su un conto londinese, dopo averli ‘ripuliti’ con lo scudo fiscale appena in tempo per potere dichiarare con tono offeso ai giornalisti: “Non ho conti all’estero”.

RIPERCUSSIONI IN BORSA

Intanto il titolo Finmeccanica sente la pressione. A Piazza Affari a pochi minuti dall’avvio delle contrattazioni, il titolo cedeva il 3,92% a 3,86 euro, per poi chiudere a -6.6%. Insistenti le voci su una convocazione straordinaria di un Cda già nei prossimi giorni. Non viene escluso che il presidente, Pier Francesco Guarguaglini, possa dare le dimissioni. I primi a esprimersi sono gli analisti finanziari di Intermonte: “Riteniamo che le dimissioni di Guarguaglini possano essere positivamente accolte dal mercato perché sarebbero un ulteriore segnale di cambiamento nella società”, dichiarano in una nota.

Guarguaglini è indagato per frode mentre sua moglie, Marina Grossi, amministratore delegato della controllata sempre da Finmeccanica Selex Sistemi integrati, è accusata di frode e corruzione. Ci si aspettava un braccio di ferro oggi tra Giuseppe Orsi, ad di Finmeccanica, e Guarguaglini stesso al consiglio di amministrazione della controllata Selex Sistemi Integrati, epicentro dello scandalo Enav-Finmeccanica, con Orsi a chiedere “la testa” dell’ad Grossi, ma dopo una lunga riunione Marina Grossi resta alla guida della società.

lunedì 21 novembre 2011

I NUOVI MOVIMENTI CHE SCONVOLGERANNO IL MONDO

Occupy Wall Street”, detto anche movimento del 99%, il movimento degli Indignados ,quelli dei giovani nord africani che hanno dato il via alle rivolte che hanno posto fine a regimi dittatoriali che regnavano incontrastati da decenni
e molti altri movimenti spontanei e pacifici sorti in questi ultimi mesi sono la cartina di tornasole che stà chiaramente dimostrando che il mondo voluto dalle lobby di potere finanziario ed economico stà volgendo al termine, l'attuale situazione di fibrillazione di molti stati della zona euro hanno portato molti governi a rassegnare le dimissioni o ad accelerarne la fine, segni evidenti che ci appresteremo in un futuro molto prossimo a vedere la formazione di nuovi scenari per la politica, l'economia e la finanza; non è detto che sia un male, purchè tutto ciò avvenga senza essere accompagnato da violenza o repressione, ma temo che gli attori che stanno occupando le leve del potere e del comando molto difficilemente saranno disposti ad abbandonare il ponte di comando con facilità o rassegnazione.
L'articolo che segue di Mazzucco, attento osservatore ed acuto commentatore ci dà una sua analisi sugli ultimi eventi. Se è vero che gli USA sono sempre stati gli anticipatori di tutti i movimenti e delle mode dell'ultimo mezzo secolo, dovremo guardare con molta attenzione ciò che stà avvenendo lì, perchè in base a quanto accadrà sapremo se si darà il via oppure si stroncherà sul nascere quella che potrà essere una rivoluzione che darà origine ad una nuova società basata su principi ed equilibri completamente nuovi.

http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=3883

Negli ultimi giorni il movimento “Occupy Wall Street”, detto anche movimento del 99%, ha decisamente cambiato marcia.

Dopo lo sgombero di Zuccotti Park, eseguito la scorsa settimana dalla polizia di New York, il noto commentatore della Fox Bill O’Reilly, che rappresenta la voce dell’estrema destra americana, aveva annunciato con soddisfazione: “Il movimento è morto e sepolto”. Dal suo volto emanava un tale senso di sollievo che sembrava quasi avesse detto “L’incubo è finito”.

Ma era solo wishful thinking (noi diciamo “ti piacerebbe”).

Purtroppo per lui – e per il restante 1% degli americani - l’incubo continua, e sembra anzi peggiorare di giorno in giorno. Dopo aver rimosso le tende, i manifestanti di Zuccotti Park si sono ripresentati compatti e determinati, tornando subito ad occupare il ponte di Brooklyn e le zone circostanti. La polizia ha dovuto compiere più di trecento arresti nell’arco di 24 ore per liberare la zona, mentre le televisioni mandavano spezzoni che ritraevano episodi di violenza ben poco edificanti contro i cittadini disarmati.

Nel frattempo il movimento ha già invaso più di trecento città americane. Oltre alle grandi metropoli come Washington, Los Angeles, Chicago o San Francisco, si aggiungono alla lista dozzine e dozzine di piccoli centri abitati da tutti gli stati dell’Unione. Cittadine pressochè sconosciute come Amarillo nel Texas o Eugene nell’Oregon, …

… che distano fra loro migliaia di chilometri, si ritrovano improvvisamente unite in una lista che cresce di giorno in giorno, e che nessuno sembra più in grado di fermare.

Mentre i media mainstream esitano ancora ad occuparsi seriamente di questo fenomeno, molti azzardano già un paragone storico con i movimenti giovanili degli anni ’60, che portarono ad un profondo mutamento nei costumi della società americana. Ma vi sono alcune profonde differenze, fra il movimento di allora e quello di oggi, che rendono quest’ultimo ancora più potenzialmente devastante, rispetto ai canoni sociali, di quello precedente.

Mentre il movimento degli anni ’60 era formato quasi interamente da studenti, quello odierno accomuna in modo trasversale gli strati più disparati della società. Oggi vedi maestri di scuola accanto a commercianti, piccoli imprenditori accanto ad impiegati di banca, tutti uniti nello stesso coro di protesta.

Negli anni ’60 quindi fu abbastanza facile etichettare l’intero movimento come “fannulloni, drogati e criminali”, dando inizio alla reazione conservatrice che portò all’uccisione di Robert Kennedy e all’elezione di Richard Nixon alla presidenza.

Oggi invece è estremamente difficile trovare una qualunque etichetta che serva ad identificare il movimento attuale. E senza un’etichetta – lo sappiamo bene - è quasi impossibile demonizzare l’avversario, prima di attaccarlo e di sconfiggerlo.

Un’altra differenza fondamentale – fra ieri ed oggi – sta nella propagazione mediatica delle notizie. Negli anni ’60 uscivano solo servizi dei telegiornali che erano stati accuratamente “ripuliti” e montati per attenuare l’impatto e la portata delle manifestazioni studentesche. Oggi invece la presenza dei telefonini sul campo impone ai poliziotti di limitare al massimo la violenza, mentre l’esistenza di Youtube e della rete rendono del tutto inutile qualunque tentativo da parte dei media di modificare la percezione pubblica degli eventi.

Ieri mattina a Los Angeles la polizia ha usato il pepper spray contro gli studenti, e dopo mezz’ora le vergognose immagini dei poliziotti bardati alla “Mad Max”, che spruzzavano gli studenti seduti a terra come se fossero dei moscerini fastidiosi, avevano già fatto il giro del mondo.

C’è però anche il rovescio della medaglia, che rende la situazione molto preoccupante: mentre la gente ormai ha capito che non può più fidarsi dei politici per risolvere i propri problemi, a Washington il “supercomitato finanziario” – una commissione mista di repubblicani e democratici – non riesce nemmeno ad accordarsi sulle misure più urgenti da prendere per cercare di riequilibrare il budget nazionale.

I democratici fingono di difendere gli interessi della “middle class” con richieste assolutamente inutili e superficiali, mentre i repubblicani si rifiutano sdegnosamente di accettare un qualunque aumento del gettito fiscale da parte della casta dei privilegiati.

La spaccatura fra la gente e la classe politica ormai è irreparabile, ma questo a Washington non lo ha ancora capito nessuno. E purtoppo, per ora, gli strumenti per il controllo violento delle masse sono ancora tutti nelle mani del famoso 1%.

Massimo Mazzucco

BIANCOFIORE E L'ORTOGRAFIA

















Un articolo (in parte mio) publicato sul sito dell'amico Ettore:

http://www.frangipane.it/read_news.php?id=861


Cari Amici,
tutti d’accordo a dare il loro appoggio a Berlusconi, salvo la Lega che vuole distinguersi (ed è meglio così: che restino nel cantuccio). Ma quanto durerà questa incredibile luna di miele? Quando incomincerà la serie dei “distinguo”? Sarà possibile mantenere un governo a maggioranza variabile? Lo spero proprio. Intanto i due soloni dell’Europa, Sarkozy e la Merkel, ci hanno riammessi – bontà loro – al loro vertice, e la settimana prossima verranno a Roma per incontrare Monti. Stupefacente. A Berlusconi avevano voltato decisamente le spalle, a Monti vanno addirittura incontro. Siamo stati riammessi tra i paesi decenti?
Chissà come andrà a finire.
Logicamente si spera in bene, Camusso o non Camusso, Lega o non Lega…

Mi scrive Gianpietro:

Salve, sono felice di apprendere che ha ripreso ad aggiornare il sito, specialmente ora che possiamo (in parte) gioire per la caduta del nano di (h)Ar(d)core; comunque ci attenderanno sacrifici, che saranno meglio sopportabili se a farli verranno chiamati anche i politici e le categorie che finora sono riuscite a farla franca, e sono in molti; da quanto sento nel mondo imprenditoriale c'è una certa apprensione per gli accertamenti della G.D.F , che ultimamente sono aumentati di frequenza, specialmente nei confronti di quei settori nei quali l'evasione è sempre stata largamente praticata.
Della sua città, cioè di Bolzano leggo una notizia di Emiliano Fittipaldi alquanto interessante o per meglio dire tragicomica, che ha sempre a che fare con la politica, quella del PDL, di questo genere di notizie spero che in futuro non avremo più alcun modo di dover parlare. Eccola:
E' il 27 ottobre 2011 e, intorno, tutto sta crollando. Ma la Biancofiore scrive un'accorata lettera a Tremonti per salvare un bassorilievo di Mussolini conservato a Bolzano. Evidenziando il lato grottesco della caduta berlusconiana. E' il 27 ottobre 2011. Mentre gli italiani piangono i morti del nubifragio in Liguria, i mercati attaccano il debito pubblico e Berlusconi s'avvia verso il tracollo, Michaela Biancofiore, deputato bolzanino del Pdl (eletta in Campania, ndr) e consigliere di Frattini, decide di prendere carta e penna per scrivere a Tremonti.
La Biancofiore non è angosciata per la crisi economica, né chiede a ministro urgenti misure per fermare il rialzo dello spread. La pasionaria del Cavaliere vuole che nessuno osi spostare un bassorilievo che ritrae Benito Mussolini a cavallo. Un opera che fa bella mostra di sé in una delle piazze principali di Bolzano.
"Caro ministro", scrive il deputato con carta intestata del ministero degli Esteri, "ti invio bozza di lettera che dovresti inviare al presidente della provincia autonoma di Bolzano, Luis Durnwalder in merito al bassorilievo del palazzo degli uffici finanziari di Bolzano, che raffigura Mussolini a cavallo ed è di notevole importanza storico-artistica". La Biancofiore da mesi sta combattendo la sua battaglia: il Duce non si deve muovere da lì.
Cos'è successo? Grazie a un accordo siglato a fine 2009 dall'allora ministro ai Beni culturali Sandro Bondi e dalla Südtiroler Volkspartei, s'era deciso di rimuovere l'opera: per gran parte degli altoatesini quel monumento costruito dai fascisti (su progetto dello scultore sudtirolese Hans Piffrader, ndr) resta infatti una ferita ancora aperta. La Biancofiore se la prende con Bondi, e nella foga commette errori di sintassi e d'ortografia che un "consigliere del ministro per le questioni politiche" non dovrebbe commettere (specie se si autodefinisce “laureanda in giurisprudenza”, ndr).
"Erroneamente da parte del nostro governo, senza sentire n'è ("né" si scrive senza l'apostrofo, ndr.) i dirigenti del Pdl n'è (è recidiva, ndr.) verificare la sensibilità dei nostri elettori, ricorderai che da un ministro che peraltro non aveva la competenza in materia, fu dato il via libera alla rimozione arbitraria del bassorilievo, scatenando la collera e la disperazione della comunità italiana dell'Alto Adige".
La Biancofiore spiega pure che la decisione "di vendersi i monumenti italiani" ha fatto scendere il Pdl "alla soglia del 3 per cento", e prega affinché nessuno tocchi il suo Dux. Non sappiamo se Tremonti abbia sposato la battaglia salva-Mussolini, di certo Durnwalder , presidente dell’Alto Adige, sogna ancora di coprire il bassorilievo con una lastra di vetro opaco. Chissà, si chiede qualcuno, se la Biancofiore ora scriverà a Mario Monti.

venerdì 18 novembre 2011

LA NORMALITA' DELLA POLITICA


“La normalità della politica” (Curzio Maltese).







In meno di un´ora Mario Monti ha chiuso per sempre una stagione lunga diciassette anni, la seconda Repubblica. Morta e sepolta, fra gli applausi timidi dei congiunti, con un discorso che ha illustrato agli italiani come, rispetto al teatrino televisivo di quasi un ventennio, la politica sia un´altra cosa: questa. La forza delle cose, i soliti problemi di vent´anni fa, intonsi e anzi lasciati marcire dallo show di Berlusconi. L´evasione fiscale, l´esclusione di donne e giovani dal mondo del lavoro, gli sprechi di stato, i feudi del privilegio corporativo, il ruolo dell´Italia in Europa.
È stato un bel funerale. Chi se ne andava si è lamentato soltanto un poco. Il canto del cigno del regime era ridotto ai ragli somari di qualche nostalgico. L´interruzione super cafona di Castelli, mai registrata a un discorso d´insediamento. Il pollice verso di Calderoli. L´ironia ignorante del capo dei deputati Pdl, Osvaldo Napoli, che per criticare il discorso di Monti, troppo proiettato al futuro, cita una celebre frase di Keynes («nel lungo termine saremo tutti morti») e la attribuisce a Galbraith.
Qualcuno doveva pur tenere alta la bandiera cialtrona della seconda Repubblica. Ma è consolante pensare che almeno, nella valle di lacrime e sacrifici dietro l´angolo, non dovremo più farci rappresentare nel mondo da comitive di cialtroni specialisti in inglese e anche italiano maccheronico, ministre uscite dai calendari, macchiette da varietà e dobermann da rissa televisiva.
E stavolta con serenità che si assiste ai comizi da bar all´uscita dall´aula del Senato, con i capannelli di leghisti in uniforme verde e berluscones disperati che ripetono le ultime parole d´ordine del capo. «È la sospensione della democrazia!». «È la sconfitta della politica!». Il senatore Beppe Pisanu li guarda con un misto di preoccupazione e cristiana pietas: «Che dire? Io sono felice, lavoro da due anni a questo obiettivo. Ma capisco che altri non lo siano. Vediamo cosa dirà Berlusconi, come appoggerà il governo Monti. Ma non sottovalutiamo la forza delle cose». Lo scrittore Gianrico Carofiglio, senatore del Pd, prova a rovesciare la questione: «Magari è la vittoria della politica».
Perché chi ha stabilito che quella carnevalata fosse la politica? Chi ha detto che il berlusconismo rappresentasse il solo paese reale? A guardare i volti, le storie, i gesti dei ministri seduti intorno a Mario Monti ognuno può giudicare se si tratti di marziani sbarcati nella capitale o non piuttosto di italiani che conosciamo tutti bene.
Se donne come Anna Maria Cancellieri, Elsa Fornero o Paola Severino siano più o meno improbabili, familiari, rappresentative di Mara Carfagna o Michela Brambilla. Qualcuno dovrebbe spiegarci per quale ragione è strano vedere all´istruzione Francesco Profumo, un rettore che ha trasformato il Politecnico di Torino in un vanto italiano nel mondo, conosciuto a Shangai come in California. Mentre era invece normale avere Mariastella Gelmini, con la sua laurea presa in qualche modo e la seria convinzione che i neutrini viaggino nei tunnel sotto terra.
Era politica quella? Forse, ma soltanto in Italia. In Francia, Germania, Gran Bretagna la maggior parte dei ministri sono tecnici e vengono dalle migliori università del paese. Era quello il paese reale? Ma c´era nel paese reale anche questa Italia che non si vedeva, ma lavorava, studiava, viaggiava e mentre gli altri impazzavano in tv, manteneva in vita le istituzioni, le imprese, le università, la residua grandezza di un paese in declino.
È un´Italia che non fa ridere il resto del mondo e ieri non ha fatto ridere neppure il parlamento. Con voce monotona, come leggesse la lista della spesa, Mario Monti ha elencato una serie di provvedimenti per i quali in Italia servono le rivoluzioni. La lotta vera all´evasione fiscale, a partire dalla tracciabilità del contante e del redditometro. La riforma del fisco e quella della burocrazia, l´accorpamento dei comuni e l´abolizione delle province. Lo smantellamento dei privilegi corporativi, il ritorno dell´Ici e così via. E siccome Monti ha l´aria di chi non si limita agli annunci, sulla schiena dei parlamentari, che di clientele campano, ogni volta era un brivido.
È un programma di classica destra liberale, a metà fra il moderno conservatorismo europeo e la destra storica di Cavour e Minghetti, tanto per chiudere in bellezza l´anno delle celebrazioni unitarie. Come tale è un programma discutibile. Ma è significativo che in Italia non lo discuta tanto la sinistra, quanto la destra populista.
Riuscirà il berlusconismo a sopportare a lungo il peso di tanta serietà? Già ieri tornava a invocare la piazza. Ma gli slogan populisti di colpo sembrano invecchiati, inservibili, perfino patetici. Dall´alto del Quirinale e di un consenso enorme, il presidente Napolitano guarda agli ultimi sussulti eversivi della seconda Repubblica come alla comiche finali. Monti può durare tre mesi o dieci anni, ma non sarà Berlusconi a deciderlo. Saranno i cittadini, l´opinione pubblica, la maggioranza di italiani che la fiducia al governo Monti l´ha già votata.

Da La Repubblica del 18/11/2011.

SVENDUTI ?

Nei due articoli che seguono, il primo da contò della malattia, il secondo ce ne indica la medicina, stà a noi scegliere.



http://movimentodiazionepopolare.blogspot.com/2011/11/goldman-sachs-il-putsch-della.html

Goldman Sachs: il putsch della disperazione

"A coloro che hanno fischiato Berlusconi nel giorno della sua resa. Che sono poi coloro che hanno lanciato monetine a Craxi. I quali sono gli stessi che hanno insultato Mussolini e Claretta appesi a piazzale Loreto, infierendo sui cadaveri. Gli stessi che hanno linciato a Milano Giuseppe Prina, ministro delle Finanze del regno d’Italia napoleonico, quando Napoleone cadde, nel 1814, e non prima. Gli stessi che nel 1647 hanno trascinato per le vie di Napoli il corpo di Masaniello, Tommaso Aniello, che avevano acclamato re pochi giorni prima – portando poi la testa al vicerè spagnolo ritornato dopo la breve rivolta contro le tasse madrilene.

Non importano le date, non conta il passare delle generazioni: questo è l’italiano eterno, sempre presente nei momenti più bui della storia come la torma delle mosche sulle carogne. Quello che infuria sugli sconfitti il giorno dopo che gli stranieri li hanno sconfitti. Quello che scalcia i cadaveri, quando non sono più potenti, punendoli della paura in cui li hanno fatti vivere finchè erano potenti. Che insulta i perdenti, e plaude al nuovo padrone straniero.

Questo italiano incivile, che vive di paura interrotta da scoppi di ferocia, che esibisce la sua abbiezione, felice di non avere alcuna dignità; questo italiano di una viltà che lo straniero giudica con orrore derisorio, è colui che perpetua il nostro stato di servi. È lui che porta eternamente al potere i Masaniello o i Berlusconi proprio perché sono come noi, ossia inadeguati e, alla fine li vilipende, perchè non vuole dare la sua fiducia ai migliori. Senza pietas per gli sconfitti, non è possibile che una nazione si regga nel mondo con un minimo di dignità.

Va bene, a questo italiano diamo una buona notizia.

Mario Monti, sì, ha studiato a Yale. È stato commissario europeo per dieci anni, prima al Mercato interno e ai diritti doganali, ossia alla loro soppressione. È stato cooptato sia al Bilderberg sia alla Commissione Trilaterale. Nel 2005 si è concesso la posizione di super-consigliere internazionale di Goldman Sachs. Adesso, nominato senatore dal comunista preferito dagli americani, ci è stato messo sul collo come capo del governo. Anche se non avrà i voti in parlameno, resterà al governo per il prossimo anno e mezzo.

Mario Draghi ha il PhD di economia conseguito al MIT, Massachusetts Institute of Technology. Da funzionario del Tesoro, è stato incaricato delle privatizzazioni italiane, che aveva già organizzato sul panfilo Britannia con le banche inglesi, di nascosto, un anno prima. Da allora, mission accomplished, ha seduto in molti consigli d’amministrazione di diverse banche. Dal 2002 fino al 2006 è stato vice-presidente per l’Europa di Goldman Sachs. Forte di questo conflitto d’interessi, è stato nominato governatore della Banca Centrale Europea, BCE.

Loukas Papademos, nuovo primo ministro greco, è anch’egli diplomato al MIT. È stato docente alla Columbia University di New York, poi è stato consigliere della Federal Reserve di Boston (una delle 13 banche che costituiscono la FED). Dal 1994 al 2002 è stato governatore della Banca Centrale greca: poltrona che occupava quando la Grecia si è qualificata per entrare nell’euro, grazie ai trucchi contabili e ai falsi consigli dati da Goldman Sachs. È stato vicepresidente della BCE. Oggi è primo ministro con il voto dei due principali partiti ellenici.

Al timone della crisi europea sono dunque tre americani, formatisi nelle prestigiose università americane di cui hanno assorbito l’ideologia, membri della superclasse mondialista, e tutti e tre fortemente legati a Goldman Sachs.

Perchè è una buona notizia? Perchè Goldman Sachs adesso deve governare direttamente con i suoi delegati e stipendiati, mettendoci la faccia ed esponendosi. Di solito, questi signori del mondo preferiscono governare da dietro le quinte, esponendo dei loro servitorelli politici ai giochi della demokràtia. Questo triplice colpo di Stato è probabilmente una mossa obbligata, ed un segno di disperazione.

Come mai? Perchè Goldman deve assicurarsi che Italia e Grecia non faranno bancarotta e non ripudieranno il debito. Le banche americane non ci lasceranno fallire, e useranno qualsiasi mezzo per impedircelo, per un motivo ben preciso.

Appena in USA il sistema bancario s’è rallegrato di essere poco esposto ai titoli sovrani europei (15 miliardi), s’è accorto che coi CDS (Credit Default Swaps) era un altro paio di maniche. Le banche USA hanno assicurato quantità importanti del debito europeo, si dice per almeno 250 miliardi, emettendo e vendendo quantità industriali di CDS, prodotti derivati che pretendono di funzionare come assicurazioni contro il rischio default. Naturalmente lo sono per finta, perchè nè Goldman Sachs nè le altre banche di ventura hanno accantonato nemmeno una frazione della cifra necessaria a pagare gli assicurati, nel caso che un Paese sovrano non riesca più a servire il debito. Se avviene davvero un default, le banche della galassia americana, a cominciare da Goldman Sachs, imploderanno come supernovae, dando come risultato dei buchi neri che attrarranno nel loro gorgo ogni realtà economica esistente, se è basata sul credito.

Gli emettitori di CDS americani sono riusciti per un pelo a non pagare le presunte polizze assicurative emesse per la Grecia, anche se questa ha fatto un default parziale, detto ristrutturazione. I titolari di BOT greci hanno dovuto accettare un taglio di capelli del 50%. Ma siccome sono banche europee, e la perdita dei creditori è stata definita come volontaria, hanno deciso di non rifondere il sinistro. Lo ha deciso lo ISDA, la International Swap and Derivative Association, che è l’organo formato dagli stessi emettitori di CDS, ovviamente a loro favore.

È questo ente privato bancario ad aver decretato – post factum, retroattivamente questa regola di cui nessuno sapeva – che quando le banche creditrici accettano volontariamente un taglio dei loro crediti, i CDS che hanno comprato non rifondono nulla. Il trucco è riuscito, nel senso che Goldman Sachs e compagni non hanno dovuto pagare.

Però è riuscito anche troppo. Nel senso che tutti i detentori internazionali di titoli italiani, che s’erano coperti dal rischio con i CDS americani, hanno avuto la rivelazione che quelle assicurazioni – per cui hanno pagato fior di milioni – non assicurano niente.

Questo è, almeno in parte, il vero motivo per cui i mercati hanno cominciato a liberarsi (svendendoli) dei titoli del debito italiano, o a chiedere un interesse drammaticamente più alto per comprarlo: il rincaro prevedibile per un rischio di default che si sa non essere più coperto dai CDS. I mercati del debito sono stati tutti scossi, ed anche lo spread sul debito francese è aumentato, e sempre per lo stesso motivo: i detentori credevano di avere una qualche protezione avendo comprato i CDS, ed hanno scoperto di non averla.

Diversi analisti inglesi e americani si sono stupiti di questa improvvisa ventata di diffidenza sull’Italia, un Paese – hanno scritto, per esempio Evans-Pritchard del Telegraph – «che avrà un attivo primario nel 2013» (elogio postumo e involontario a Tremonti) una ricchezza delle famiglie superiore a quella della Germania, e un debito privato molto al disotto della media degli europei. Come mai un Paese con fondamentali così buoni viene considerato insolvente? (Europe pushes Italy into the abyss)

Fatto sta che la tempesta sull’euro è diventata ciclone. I tassi d’interese che l’Italia deve offrire sono diventati davvero insostenibili, avvicinando la bancarotta del terzo debitore mondiale e della terza economia della UE. Dal punto di vista di Goldman Sachs (e affiliati americani) bisogna assolutamente impedire che l’Italia faccia fallimento, altrimenti i banksters americani dovranno onorare l’impegno preso spacciando i loro CDS. Rifondendo il sinistro, per così dire. Coi mezzi propri, che non sono nemmeno lontanamente disponibili.

Quanto? Nessuno lo sa esattamente, dato che l’85% del mercato dei derivati avviene over-the-counter (ossia fuori dai mercati borsistici) su accordi caso per caso fra cliente ed assicuratore, dunque senza lasciare traccia contabile alla vista dei regolatori (che dormono). Esistono inoltre una quantità indefinita di CDS nudi (naked) ossia venduti a chi non possiede i titoli da assicurare: anche questi non-possessori saranno da rifondere se l’Italia fallisce.

Ad occhio e croce, si può dire solo questo: che il nostro default vaporizzerebbe istantaneamente i capitali delle banche d’affari americane, anzi molte volte i loro capitali; e causerebbe l’implosione totale del sistema bancario sovrannazionale – che è il vero insolvente in questa faccenda. Non a caso Warren Buffett ha chiamato i derivati «armi di distruzione di massa».

È per questo che Goldman Sachs non permetterà all’Italia di fallire o ristrutturare il debito: ne va della sua vita. Per questo ha messo uomini suoi direttamente al timone delle centrali europee che contano.

Un effetto s’è visto subito: appena s’è fatto il nome di Monti come amministratore delegato d’Italia, i mercati hanno fatto scendere lo spread sui titoli italiani. In realtà, s’è trattato di un aiutino dell’amico Mario Draghi, che ha fatto comprare alla BCE infornate di titoli italiani, per far vedere che i mercati hanno tanta fiducia in Monti.

La Grecia è ora sotto amministrazione controllata di Goldman-Papadimos, per lo stesso motivo: una bancarotta involontaria costringerebbe le banche americane spacciatrici di CDS a pagare.

Stiamone certi: Monti non imporrà solo tasse, finanziarie e patrimoniali e privatizzazioni. La situazione è così pericolosa per Goldman, che dovrà cercare anche di far crescere il Paese, perchè senza una crescita del PIL – i banchieri lo sanno benissimo – il servizio del debito non può essere sostenuto. Hanno interesse a puntellarci. Lo faranno con tutte le terapie che conoscono loro... Che sono quelle sbagliate (1).

Da cui la vera grande buona notizia. La più tragica: Monti – e la dozzina di esperti europei e del Fondo Monetario che sono venuti a Roma a controllarlo, veri ministri del suo ministero – non riuscirà a risanarci, nè Draghi nè Papademos avranno successo. Il default è ineluttabile.

Lo dice la semplice matematica. Esiste una relazione tra la crescita del PIL e gli interessi sul debito pubblico. E l’Italia non può pagare il 7% di interessi su 1.900 miliardi del suo debito, senza crescere, diciamo, del 3% annuo. È una crescita quasi da miracolo economico, ossia impossibile: specie nella recessione che minaccia l’Europa tutta intera, ed è segnalata dal rallentamento dell’export tedesco.

Ma il fattore più pericoloso è ormai il rischio sistemico. Il sistema finanziario stesso lo ha coltivato e fatto crescere, avventandosi in una interconnessione così aggrovigliata, opaca e concatenata che nessuno capisce più dove e come finisca. Basti ricordare il fatto che le banche italiane, greche sono piene di BOT nazionali: tradizionalmente, questo era un fattore di stabilità finanziaria, ed un contributo importante del risparmio nazionale al finanziamento del debito; oggi, è diventato una minaccia supplementare, che impone agli Stati già stra-indebitati di sostenere le loro banche diventate insolventi per il calo del valore di questi loro attivi.

E questo è solo ciò che si vede: si aggiunga lo shadow banking, il sistema sotterraneo in cui entità non regolamentate, situate nei paradisi fiscali, emettono prodotti derivati la cui descrizione richiede volumi pieni di formule matematiche, e il cui scopo preteso è di gestire i rischi dei titoli pubblici e privati soggiacenti. Il bello di tali prodotti è che, secondo i loro inventori, consentivano di aumentare le performances diminuendo il rischio: invece lo accrescono, perchè hanno trasferito i rischi alla controparte, un numero limitato di grandi attori che dominano il mercato – e perciò concentrano tutti i rischi.

Piccolo esempio: la Slovenia, senza alcuna colpa, è colpita in pieno dalla crisi dell’Italia, e il suo debito pubblico non trova compratori se non a prezzi proibitivi. L’Ungheria si aspetta un peggioramento del rating del suo debito, a cui conseguirà una svalutazione della moneta nazionale, il che produrrà un aumento del costo del suo indebitamento. E con ciò, un altro impegno alle banche europee che in Ungheria hanno prestato troppo. Unicredit e le banche austriache sono nella prima linea del rischio ungherese, e possono crollare di colpo. Delle banche francesi, strapiene di titoli dei PIIGS, già sappiamo. Le banche tedesche non stanno meglio, anzi peggio. E tutte le banche europee operano con una leva di 26 ad 1 (per ogni euro, ne hanno 26 in prestito) molto più alta delle banche americane.

I delegati di Goldman Sachs Europe sono dunque sempre una mossa in ritardo (come la UE è di due o tre passi indietro) s’affannano attorno a Grecia ed Italia, ma ormai è l’Europa nel suo insieme ad essere nella linea di mira dei mercati.

Un giorno, se avremo un futuro, gli storici si chiederanno come mai c’è stata l’implosione, quando il rimedio per scongiurarla era così evidente: vietare semplicemente e puramente le scommesse sulle fluttuazioni dei prezzi proibendo l’uso dei derivati senza copertura. Oppure, l’altro rimedio: il condono almeno parziale ma sostanzioso del debito ormai impagabile (che avrebbe anche il vantaggio di non obbligare Goldman Sachs ad onorare i suoi CDS, in quanto il condono è volontario).

Macchè, i nostri attuali padroni non vedono, e non vogliono questi rimedi. Vogliono trarre il loro pedaggio sui popoli in eterno, anche fino a dissanguarli. Nella ricerca del profitto monetario come fine ultimo, nella smisurata avidità del prendere senza mai dare (tipico degli usurai, dei J) essi si sono messi nella condizione del rischio sistemico predetta dalla teoria del caos: il volo di una farfalla a Budapest che provoca un terremoto in Cina.

Avverrà esattamente così, in un battito d’ali loro saranno vaporizzati, e anche noi, i nostri risparmi, le nostre monete, le nostre vite. Sopravviveremo come dopo una guerra atomica.

Battete le mani, abbietti sputacchiatori postumi dei perdenti.

1) Cito qui un corrispondente che conosce personalmente Mario Monti:

«Come persona è corretta: non ha la mentalità della casta, non è borioso, è anche sensibile socialmente (a meno che non abbia cambiato divisa da allora) umanamente può essere considerato consapevole dell’esistenza di chi privilegiato non è. Ma tutto lì. Vive come tanti altri ‘tecnici’ nella torre eburnea delle loro competenze ‘scientifiche’, ammantati da un gergo della inautenticità sociale spaventoso (...). È un monetarista ‘puro’, il che significa – per i non adepti – una persona che pensa per astrazioni, per una dottrina economica teorica i cui paradigmi devono ‘forzare’ la realtà a entrarci dentro. Tutto il resto è trascurabile: in primis le scelte strategiche di un piccolo Paese come l’Italia, i cui interessi possono non essere ‘coerenti’ con i nostri ‘amici’ obbligati».

Insomma, Monti è incapace (come Draghi) dell’esercizio mentale oggi più urgente: la critica del sistema finanziario che sono chiamati a difendere, per poterlo riformare. Pensare fuori dalle righe dell’ortodossia monetarista è impossibile a questo tipo umano, è stato selezionato apposta così. Credono che l’Economia consista nelle equazioni matematiche (che riempiono i libri di descrizione dei derivati) e ignorano l’Economia come storia, politica, e carne dell’uomo lavoratore, unico e vero produttore di ricchezza non rubata e dignità non conferita dai media. "

Claudio Mutti



Lettera dall’Argentina

















16 novembre 2011 | Autore admin | Stampa articolo Stampa articolo
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Monicelli disse che, purtroppo, in Italia la Rivoluzione non c’è mai stata. Gli angloamericani hanno messo fine al fascismo, non gli italiani. La BCE ha cacciato Berlusconi, non gli italiani e neppure un’opposizione collusa e di cartapesta. I nuovi padroni hanno sempre sostituito i vecchi in questo Paese di servi. Forse ora, almeno una volta nella nostra Storia, potremmo tentare di liberarci da soli. Questa lettera dall’Argentina è un messaggio di speranza.

“Caro Beppe, cari tutti,
da piccola mio padre mi raccontava, e io la sognavo, l’Italia. La vostra meravigliosa penisola e il Mediterraneo erano per noi non soltanto la culla, insieme con la Grecia, della civilizzazione occidentale: per il 40% della popolazione dell’Argentina l’Italia era la Madre Patria. Ci chiedevamo perché dovessimo parlare lo spagnolo, con cui non avevamo niente a che fare. I nostri genitori compravano – delle volte con fatica – riviste italiane come la Domenica del Corriere, e noi bambini guardavamo le vignette “Senza parole” cercando di capirle, intanto ascoltavamo Iva Zanicchi cantare “Fra noi”. In buona parte del mio Paese i cognomi sono esattamente i Vostri.
Circostanze fortuite fecero sì che venissi in Italia da ragazzina, volando sola dagli zii e che, subito dopo, ci fosse in Argentina il golpe del ’76. Mio padre decise che era meglio che restassi in Italia. E cosi fu. In Argentina tornai nell’83 dopo una frase di mio cugino di Baudenasca (Pinerolo), che guardandomi soffrire in una crisi di nostalgia mi disse: “Generazione che emigra é generazione perduta”. Scelsi allora che la mia casa sarebbe stata per sempre l’Argentina. Comunque l’Italia é nel mio sangue e nel mio cuore, tanto da portarne la Carta d’Identitá nel portafoglio insieme con il mio Documento Nacional de Identidad. Seguo quindi le questioni italiane da sempre, guardo Rai International come tantissimi argentini, la piú vasta popolazione d’origine italiana in un Paese estero, anche se l’Italia ci ha spesso ignorato. Ho assistito sbalordita a molte vicende italiane degli ultimi anni cosí come alle avventure del Vostro Cavaliere. In Argentina, quelli che voi chiamate i “poteri forti”, non avendo potuto rialzarsi nonostante il golpe e la dittatura, si inserirono nel governo Menem, corrompendolo e travolgendolo sin dall’inizio. Per poco non riuscirono. Va peró detto che dopo Menem siamo riusciti a reagire e quando, con il governo dell’Alianza di De La Rua, vollero darci il colpo finale, la popolazione nelle piazze lo forzó a rinunciare e se ne dovette andare. Non sono stati loro, i “poteri forti”, a cacciare chi era disposto a fare le riforme che vi dicono ora che “ci vogliono” e che un governo da voi eletto non puó fare perché “impopolari”. Siamo stati noi, i cittadini nelle strade, a cacciarlo via nonostante fossimo confusi perché ci tenevano come voi con le spalle contro il muro, attanagliati dai titoli a caratteri cubitali sui giornali con il “Riesgo País” (il vostro “Spread”) che ci avrebbe portati tutti all’inferno se non prendevamo la cicuta. Il dilemma era uguale a quello che é posto a voi e ai greci “Se non volete morire ammazzati, suicidatevi poco a poco“. La legge di “Flessibilizzazione del lavoro”, approvata dal governo De La Rua pagando i senatori, fu derogata.
I contributi (persino quelli), che erano stati privatizzati e consegnati ai “Fondi Pensione”, sono stati recuperati dallo Stato. Il PBI (prodotto interno lordo, ndr) argentino, che nell’anno del default andó giú strepitosamente (-11% nel 2002), cominció subito a crescere ad una media dell’8-9% annua sin dal 2003 e chiuderá il 2011 con una crescita del 7% nonostante la crisi internazionale. Centinaia di ricercatori tornano in Argentina grazie al programma “Radici” del governo; il budget per la pubblica istruzione (dichiarata “bene pubblico” per legge) è passato da meno del 2% del PBI (2001) al 6,5%.
Al “libero commercio” voluto dagli Stati Uniti per il continente americano i nostri Paesi hanno detto no, per volontá di quei presidenti che godono del piú vasto consenso dei loro cittadini e che vengono spesso scherniti dal “Primo Mondo”. Per i media globali Chavez, ad esempio, é un pagliaccio. Cristina, una “populista” che pensa solo a comprare scarpe e borse costose. Evo Morales, un “selvaggio” e cosí via. Stereotipi per screditare i nostri governi perché stiamo resistendo ai “poteri forti”. Cresciamo, abbiamo volontá e fiducia e passione, anche se sappiamo benissimo – perché l’abbiamo imparato a sangue e fuoco – con chi abbiamo a che fare e nonostante loro continuino ad avere qualcuno tra di noi che fa da servo piú o meno ben pagato. Volevo dirvelo, perché l’Italia e gli italiani mi stanno a cuore, perché ho mezza famiglia in Italia. Non lasciatevi portare cosí al macello, non svendete l’Italia. Se non ce la fate Voi, vincono loro. Piú vincono loro, piú siamo tutti a rischio.” Lili A., Santa Rosa La Pampa Argentinainfo