mercoledì 14 dicembre 2011

PAURA E DISGUSTO A LAS VEGAS


HUNTER S.TOMPSON – PAURA E DISGUSTO A LAS VEGAS

Una divina commedia alla mescalina
Pubblicato nel 1971 sulla mitica rivista musicale "Rolling Stones", Paurra e disgusto a Las Vegas è un libro cult di un'intera generazione, quella che nei primi anni settanta si riconosceva nei miti del viaggio, della droga, della musica rock e della ribellione a una società basata sul consumo e sul conformismo. Racconta di un viaggio compiuto, nel 1971 ,da un giornalista sportivo accompagnato dal suo avvocato, a bordo di una vistosa Chevrolet rossa decappottabile. La meta è Las Vegas, la capitale del gioco d'azzardo e del più sfavillante e perverso conformismo americano, dove si tiene
la Mint 400, una famosa e sgangherata corsa di moto e Dune-Buggy. Lo scopo dichiarato è quello di "scovare il Sogno Americano". Fin dall'inizio il viaggio si rivela allucinante, irriverente, esilarante e disperato. I due eroi, sotto l'effetto di un miscuglio di droghe che non teme confronti, assistono a una trasformazione totale della realtà, che assume le più imprevedibili sfaccettature, da quelle psichedeliche, colorate, fantastiche del sogno, a quelle grottesche e tragiche dell'incubo e della disperazione. Romanzo di grande potenza narrativa, scritto con uno stile lucido e incalzante, sorretto da dialoghi strepitosi, disegna un magistrale quadro dell'America di quegli anni, l'America degli sconfitti, persi in un baratro che le droghe e i miti andati in frantumi non hanno potuto colmare. Il romanzo è accompagnato da una gustosa e imprevedibile "Piccola Enciclopedia Psichedelica", tra i cui autori spiccano nomi prestigiosi e inattesi come Alessandro Baricco, Cino Castaldo, Enrico ghezzi, Fernanda Pivano e molti altri.
Da questo romanzo il film di Terry Gilliam con Johnny Depp.

Qui sotto pubblico un estratto del capitolo Back Door Beauty, titolo alquanto equivoco e che darà luogo ad una scena esilarante al limite dell’assurdo, in linea con le vicende del tutto al di fuori delle regole che i due personaggi vivono quotidianamente con la noncuranza e la sfacciataggine tipica di quell’epoca, cioè dei primi anni 70, che io considero il periodo più rivoluzionario di tutto il XX° secolo.


Il mio avvocato stava ancora ridendo quando ripresi una marcia tranquilla, a fari spenti, in un polveroso groviglio di strade secondarie dietro al Desert Inn. "Cristo," disse. "Quegli okies si stavano incazzando. Il tipo sul sedile di dietro cercava di azzannarmi. Merda, aveva la bava alla bocca." Annuì severamente. "Avrei dovuto spruzzargli contro un po' del tuo gas lacrimogeno, al cazzone... un criminale psicopatico, in totale depressione: con questi non sai mai quando stanno davvero per scoppiare." .
Pilotai la Balena in una conversione che avrebbe dovuto portarci fuori dal dedalo - ma invece di sbandare la bastarda quasi cappottò.
"Santa merda!" protestò il mio avvocato. "Accendi quei cazzo di fari!" Si era abbarbicato al montante del parabrezza... e di colpo, ecco che faceva di nuovo lo sputabudella, sbrodolando roba su tutta la fiancata.
Evitai di rallentare finché fui sicuro che nessuno ci stesse seguendo,tantomeno quella Ford: quella gente era decisamente pericolosa, almeno fin tanto che non si fosse calmata un po'. Sarebbero andati a denunciare alla polizia il loro brutto incontro? Probabile di no. Era successo tutto troppo in fretta, e senza testimoni, e c'erano buone possibilità che non venissero creduti comunque. L'idea di due spacciatori di eroina che se ne andavano su e giù per lo Strip su una Cadillac bianca decappottabile a molestare forestieri al semaforo era assurda prima facie. Nemmeno Sonny Liston ha mai dato di fuori fino a quel punto.
Altra svolta secca, e di nuovo ci mancò un pelo che cappottassimo. La Coupe de Ville non è la vettura ideale per zigzagare ad alta velocità nella scacchiera dei quartieri residenziali. La manovra risultava molto fiacca... diversamente dallo Squalo Rosso, che in circostanze che richiedevano rapidi cambi di direzione con massima aderenza aveva risposto assai bene. La Balena invece di uscire via liscia al momento critico aveva la tendenza a piantarsi, il che spiegava la sgradevole sensazione. del: "Ci siamo, ora ci si ribalta."
Sulle prime pensai che fosse solo perché le gomme erano un po' sgonfie, così mi infilai nel distributore Texaco vicino al Flamingo e me le feci pompare tutte e quattro fino a 3 atmosfere e mezzo - cosa che allarmò non poco il benzinaio, finché non gli spiegai che le mie erano gomme "sperimentali".
Ma nemmeno 3 atmosfere e mezzo risolsero il problema delle curve a novanta 'gradi, perciò dopo un po' tornai e gli dissi che volevo pomparle fino a 5. Quello scosse la testa nervosamente. "Non io,"disse, porgendomi il tubo del compressore. "Tenga. Le gomme sono sue. Lo faccia lei."
"Che c'è che non va?" domandai. "Pensi 'che non sopportino 5 atmosfere?" .
Annuì, scansandosi bene mentre mi chinavo sull'anteriore sinistro. "Proprio così." disse. "Queste vanno a 2 atmosfere davanti e a 2 e .2,5 dietro. Cazzo, a 3 e mezzo è pericoloso, ma a 5 è davvero folle. Scoppieranno!"
Scossi la testa e continuai a gonfiare. "Te l'ho già detto," feci. "Questi pneumatici sono stati progettati ai laboratori Sandoz. Sono speciali. Potrei pomparli fino a 7 atmosfere." .
"Per l'amor di Dio!" gemette lui. "Che non le venga in mente di farIo qui."
"Non oggi," ribattei. "Voglio prima sperimentarle in curva a 5" Sogghignò. "Non riuscirà nemmeno, a cominciarla, la curva signore.
"Lo vedremo," dissi, spostandomi con il tubo sulle ruote posteriori.. In realtà ero nervoso. Le due davanti erano tirate come pelli di tamburo; quando ci avevo picchiato sopra con il becco del compressore mi erano sembrate di tek. Ma che cazzo vogliono? pensai. E anche se scoppiano? Non è roba di tutti i giorni poter condurre esperimenti estremi su una Cadillac vergine e sui suoi quattro pneumatici da 80 dollari nuovi di trinca. Per quel che ne sapevo io, dopo avrebbe potuto curvare come una Lotus Elan. E in caso contrario, potevo sempre tornare all'autonoleggio VIP e chiedere un' altra macchina... magari minacciando pure un'azione legale per il fatto che quattro gomme su quattro mi erano scoppiate d'improvviso mentre guidavo in mezzo al traffico. Chiedere una Eldorado, la prossima volta, con quattro Michelin Xs. E accreditare tutto sulla carta... sul conto dei Sto Louis Browns.
Quando finii di pompare, la Balena con la pressione dei pneumatici alterata aveva un aspetto eccellente. La carreggiata era un tantino ruvida; riuscivo a sentire ogni più minuscolo sassolino sull' autostrada, come se fossi sui pattini a rotelle in una cava di ghiaia... ma la macchina cominciò a curvare in un modo molto elegante, come se fosse una motocicletta a tutto fuoco sotto una pioggia fitta: una scivolatina e ZANG, sottosopra, a frullare nel paesaggio con la testa .tra le mani.

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Il mio avvocato non vomitava più, e non stava nemmeno male. Ordinò il caffè con l'autorità di un uomo abituato da sempre a essere servito in fretta. La cameriera aveva l'aria. di essere una ex mignotta piuttosto vecchia che alla fine aveva trovato il suo posto nella società. Era decisamente la padrona, lì, e ci guardò con ovvia disapprovazione quando ci sistemammo sui nostri sgabelli.Io non ci badavo granché. Il North Star Coffee Lounge sembrava un. rifugio abbastanza tranquillo per le nostre tempeste. Ci sono posti nel quali si entra - In quel tipo di situazione - e si capisce subito che sarà dura. Non è questione di dettagli: quel che si sa è che mentre ci si avvicina alla porta d'ingresso, nel cervello cominciano a ronzare brutali vibrazioni. Qualcosa di orrendo sta per succedere, e ci riguarderà. Ma nell'atmosfera del North Star non c'era nulla che facesse drizzare le orecchie. La cameriera era passivamente ostile, ma a questo io ero abituato. Era un gran donnone. Non grassa, ma grossa in ogni senso, con lunghe braccia nerborute e la mascella da rissaiolo. Una versione sfatta di Jane Russell, una gran testa di capelli neri, viso sfregiato di rossetto ed una quinta misura di zinne che doveva essere stata spettacolosa una ventina d'anni prima, quando lei avrebbe potuto essere un' ottima Mama per il capitolo di Berdoo di Hell's Angels... Ma ora era strizzata in un gigantesco reggipetto elastico rosa che traspariva come un bendaggio dal sottile rayon bianco della divisa. Forse era sposata con qualcuno, ma non ero in vena di fare' congetture. Tutto ciò che volevo da lei, quella notte, era una tazza di caffè nero e un hamburger da 29 centesimi, con cipolle e sottaceti. Niente seccature, niente chiacchiere,solo un posto dove riposarmi e radunare le forze. Non avevo nemmeno fame.
Il mio avvocato. non aveva giornali né ,niente su cui concentrare la propria attenzione. Cosi la fissò sulla cameriera, per noia. Lei stava prendendo le ordinazioni come un robot quando lui perforò la sua scorza con la richiesta di "due bicchieri di acqua ghiacciata - con ghiaccio" .
Il mio avvocato si bevve il suo in un unico lungo sorso, poi ne chiese un altro. La cameriera sembrava tesa. Vaffanculo, pensai. Stavo leggendo i fumetti. Circa dieci minuti dopo, quando ci .portò gli hamburger, vidi che il mio avvocato le allungava un tovagliolo con su scritto qualcosa. Lo fece con gran disinvoltura, senza espressioni particolari sul viso. Ma sapevo, grazie alle vibrazioni, che la nostra pace stava per essere spaz¬zata via. "Cos' èra?" gli domandai.
Scrollò le spalle, sorridendo vagamente alla cameriera che se ne stava tre metri più in là, all' estremità del bancone, dandogli le spalle mentre esaminava il tovagliolo. Alla fine si girò e si mise a fissarci... quindi venne avanti risolutamente e tirò il tovagliolo addosso al mio avvocato "Che cos' è questo?" schioccò."Un tovagliolo," rispose il mio avvocato.
Ci fu un istante di osceno silenzio, poi lei cominciò a strillare: "Non darle a me, quelle porcherie! So",cosa significa, cosa credi? Maledetto bastardo trippone d'un pappa!"
Il mio avvocato prese il tovagliolo, guardò quello che aveva scritto e poi lo ributtò sul bancone."È il nome di un cavallo che ho avuto,» disse calmo. "Cosa c'è che non va?" ,
"Brutto figlio di puttana," gridò lei. "Tiro su merda a paiate in questo posto, ma stai pur certo che non mi lascio insultare da, un magnaccia portoricano!
Cristo, pensai. Che stava succedendo? Tenevo d'occhio le mani della donna, sperando che non afferrassero nulla di affilato o di pesante. Presi il tovagliolo e lessi ciò che quel bastardo ci aveva scritto sopra,.in accurate lettere rosse: "Back Door Beauty?" Il punto inter¬rogativo era enfatizzato. La donna continuava a gridare."Pagate il conto e' andatevene all'inferno! Altrimenti chiamo la polizia!" Cavai di tasca il portafogli, ma il mio avvocato era già scattato in piedi, senza togliere gli occhi di dosso alla donna... poi infilò una mano sotto la camicia, non in, tasca, e la ritirò fuori di colpo con il Gerber Mini-Magnum, una tremenda lama argentata che parve dire subito qualcosa alla nostra cameriera.
Raggelò, gli occhi selvaggiamente fissi sulla lama. Il mio avvocato, sempre continuando a guardarla, indietreggiò per il paio di metri che lo separavano dal telefono a gettoni e sollevò il ricevitore. Tagliò il filo di netto, poi rimise a posto il ricevitore e tornò a sedere.
La cameriera non si mosse di un millimetro. Io ero stordito dalla sorpresa, e non sapevo se dovevo scappare o scoppiare a ridere. "Quanto viene quel meringato al limone?" Chiese il mio avvocato. La sua voce era vaga, come se fosse appena entrato nel locale e fosse indeciso su cosa ordinare. "35 centesimi," sibilò la donna. Aveva gli occhi tinti di paura, ma il cervello sembrava resistere a un regime-base di sopravvivenza. Il mio avvocato rise. "Intendo dire tutto intero," fece. Lei gemette. Il mio avvocato mise una banconota sul bancone. "Facciamo 5 dollari," disse. "Okay?" Lei annuì, ancora raggelata, e osservò il mio avvocato che girava intorno al bancone e prendeva il dolce dall’espositore.
Mi preparai a filare. La cameriera era visibilmente sotto shock. La vista della lama sfoderata nel cuore della discussione doveva averle fatto tornare in mente dei brutti ricordi. La vitrea espressione dei suoi
occhi diceva che la sua gola era già stata tagliata una volta. Era ancora paralizzata quando ce ne andammo.



Back Door Beauty

Alla lettera: "Bellezza della porta di servizio", che potrebbe essere liberamente tradotto "Bonazza da sveltina", come fa A. Gini nella precedente versione italiana di Fear and Loathing in Las Vegas, se non fosse per due problemi che mi hanno convinto a lasciarlo inalterato. Il primo problema è l'allusione al coito anale, in inglese molto chiara, che è un topos del gergo porno, e infatti esiste anche un film (un cult, pare, e comunque successivo alla pubblicazione di questo libro), direttamente intitolato Back Door Beauties. Il secondo problema è che l'avvocato, nel testo, gioca sul fatto che si tratti molto innocentemente del nome di un cavallo, cosa che "Bonazza da sveltina" non potrebbe mai essere. Invece B.D.B. porrebbe benissimo esserlo, e anzi probabilmente lo è: è anche il nome di un cavallo - vuoi che in tutto il mondo anglofono non sia mai esistito un cavallo con quel. nome? Magari una cavalla., magari da corsa - galoppo, steeple chase - col solito fantino segaligno appollaiato a chiappe strette sulla groppa: magari prediletta, per via del nome, da Charles 'Bukowski per le sue puntate, protagonista di un paio d'annate discrete in qualche circuito secondario e addirittura di due o tre impronosticabili vittorie con quote assai penalizzanti per i bookmaker, quando alla fine B.D.B. sarà passata a miglior vita, stroncata da qualche equina fulminazione, la bionda e adolescente figlia dell'allevatore avrà anche versato qualche lacrima, ancora ignara del vespaio di doppi sensi contenuto in quel nome.

martedì 13 dicembre 2011

FERROVIE, CULI DI CAVALLO E SPACE SHUTTLE CHE COSA HANNO IN COMUNE ?


Una bella storia che ho trovato scritta in inglese e che ho cercato di tradurre meglio che potevo, molto bella e divertente, sembra una favola ma è realtà.

Ferrovia.
La ferrovia a scartamento normale Stati Uniti (distanza tra le rotaie) è di 4 piedi, 8,5 pollici. Quello è un numero molto strano.
Perché è stata utilizzata quella misura ? Perché questo è il modo in cui l’ hanno costruita in Inghilterra, e gli inglesi espatriati hanno progettato le Ferrovie Stati Uniti.
Perché gli inglesi l’hanno costruita in questo modo? Perché le linee ferroviarie sono state costruite dalle stesse persone che prima costruirono la ferrovia pre-tram, e questo è il calibro che hanno usato.

Perché loro usarono questa misura, allora? Perché le persone che hanno costruito i tram , hanno utilizzato le stesse attrezzature e gli stessi strumenti che avevano usato per la costruzione di carri, che ha usato quella stessa misura tra le ruote.


Perché i carri che hanno una particolare spaziatura dispari per la ruota ?
Beh, se hanno cercato di utilizzare qualsiasi altro spaziatura, le ruote del carro si rompevano su alcune delle vecchie strade a lunga distanza in Inghilterra, perché questa è la spaziatura dei solchi ruota ..


Quindi, perchè hanno costruito quelle vecchie strade piene di solchi?
Roma imperiale costruì le prime strade a lunga distanza in Europa (tra cui Inghilterra) per le loro legioni. Quelle strade sono state utilizzate da allora.

E i solchi nelle strade? I carri da guerra romani hanno formato i solchi iniziali, che tutti gli altri dovevano seguire per paura di distruggere le loro ruote del carro.

Dal momento che i carri sono stati fatti per Roma imperiale, erano tutti uguali in materia di carreggiata. Pertanto, la ferrovia a scartamento standard di 4 piedi, 8,5 pollici degli Stati Uniti deriva dalle specifiche originali per un carro da guerra imperiale romano. In altre parole, la burocrazia vive per sempre.
Così la prossima volta che ti vengono consegnati una specifica, procedura, o un processo, e chiedono: 'Che culo di cavallo c’entra con questo?' , Si può avere perfettamente avere ragione.
I carri dell'esercito imperiale romano sono state fatti ampi abbastanza per accogliere le estremità posteriori di due cavalli da guerra ...



Ora, la svolta alla storia:

Quando si vede uno Space Shuttle seduto sulla sua rampa di lancio, noterete che ci sono due grossi razzi booster attaccati ai lati del serbatoio principale. Si tratta di razzi propulsori solidi, o SRB. Gli SRB sono fatti da Thiokol presso lo stabilimento di Utah.

Gli ingegneri che hanno progettato gli SRB avrebbero preferito farli un po 'più grandi, ma gli SRB dovevano essere spediti in treno dalla fabbrica al sito di lancio. La linea ferroviaria dalla fabbrica corre attraverso un tunnel in montagna, e gli SRB dovevano passare attraverso quel tunnel. Il tunnel è leggermente più largo della ferrovia, e la ferrovia, come ora sappiamo, è tanto largo quanto sedere due cavalli '.



Quindi, un importante caratteristica del progetto Space Shuttle, di quello che è probabilmente sistema di trasporto più avanzato del mondo è stata determinata oltre due mila anni fa dalla larghezza del culo di un cavallo.
E voi pensavate che essere un culo di un cavallo non fosse importante!

Ora sapete, che il culo dei cavalli controlla quasi tutto ...
Ciò spiega un sacco di cose, non è vero?

lunedì 12 dicembre 2011

L'orgine dello sfascio


Forse potrà sembare un fatto di scarso interesse, ma l'intervista fatta all'ex direttore di Oggi, a proposito della pubblicazione delle foto di Berlusconi in atteggiamenti alquanto "rilassati" a Villa Certosa del 2007, evidenzia che quello è stato il punto di partenza di una stagione di depravazioni e scandali, che pochi o quasi nessuno allora osò raccontare, tranne il direttore di Oggi, che infatti ha pagato molto caro questa sua presa di posizioine. Col senno di poi si può dire che se avessimo dato ascolto e prestato una seria attenzione a quegli avvenimenti forse ci saremmo evitati gran parte del disastro che ci è poi piovuto addosso.
Parlando con amici mi sento sempre ripetere il mantra che l'altra parte politica non è affatto meglio di Berlusconi, anzi tutti divisi ed in continuo disaccordo, ma allora non si è capito nulla, per questi è meglio essere amministrati da una canaglia, bugiardo e menzognero, piuttosto che cercare una via d'uscita ad una situazione che peggio di così sinceramente non poteva capitarci, allora tanto vale non discutere di questi fatti, aspettare che il governo Monti faccia il suo sporco lavoro ed alle prossime elezioni, tutti pronti da buoni scolari a mettere la croce sul peggior mascalzone degli ultimi 150 anni, tutti insieme felici e contenti sconsideratamente lanciati come un tir verso il disastro, disperatamente annuanciato e volutamente ignorato.

Pubblicò le foto dell’harem di Berlusconi
“Quegli scatti fecero tremare l’Italia”

Parla l'ex direttore del settimanale Oggi, Pino Belleri, che mandò in edicola le immagini di Zappadu dall'interno di Villa La Certosa. "Lo scoop più caro della mia vita: ho pagato in tutti i sensi". Gli altri media utilizzarono il basso profilo: "L'ex premier e Bonaiuti dissero molte bugie, nessuno riprese la notizia e Belpietro mi attaccò"

L'ex direttore di Oggi, Pino Belleri
“Fu il servizio più caro della mia vita. Quanto lo pagai? Tanto, in tutti i sensi. Non voglio fare il martire, ma gli scatti di Zappadu fecero tremare poltrone, consigli di amministrazione e famiglie. Che si ripercuotessero su di me, alla fine, era quasi inevitabile”. Aprile 2007. Santa Pasqua. Villa Certosa. Berlusconi è in compagnia di 5 ragazze. Angela Sozio, Barbara Pedrotti e altre tre di cui non si conoscerà mai l’identità. Prima di Ruby, D’Addario e Noemi Letizia arrivò la copertina di Oggi. Pino Belleri, direttore di allora (adesso consulente Rcs) titolò “L’harem di Berlusconi” e ironizzò sulle bagattelle. Per quei fotogrammi, con l’accusa di violazione della privacy, è a giudizio. Berlusconi ha deposto l’altroieri a Milano. Dell’anatomia del suo scoop: “Il più rilevante degli ultimi 4 decenni, al livello di Lady Diana. I Berlusconi sono stati la famiglia reale degli ultimi 20 anni”, Belleri ricorda tutto. Il prima e il dopo. Il volo e la caduta.

Cosa rimane oggi?
Il tempo rende tutto inutile. Sbiadisce il quadro. Lo relativizza.

Berlusconi si arrabbiò.
Moltissimo. Il materiale incrinò definitivamente un matrimonio già propenso al naufragio e giunse a neanche 2 mesi dalla lettera di sua moglie Veronica Lario a Repubblica. L’animatore del Family day, al centro di una sacra festa cattolica, impegnato a manipolare tette e a frugare tra le cosce non lasciò indifferenti.

Chi le portò le foto?
Zappadu. Saltai sulla sedia. Mi consultai con l’editore e poi decisi di procedere. Berlusconi e Bonaiuti inventarono balle incredibili. Dissero e fecero scrivere che ero il disgraziato direttore di un ‘pornosettimanale’ e a Villa Certosa era in corso solo un raduno di Forza Italia con i fidanzati delle delegate presenti.

Invece?
Se si esclude la sicurezza, non c’era l’ombra di un uomo. E Berlusconi non accompagnava le sue ospiti. Faceva altro. So di cosa parlo. Vidi tutti e 400 gli scatti, anche quelli di cui il garante della privacy, con nordcoreana rapidità, impedì in soli tre giorni la futura pubblicazione.

Subì pressioni.
Ci furono. A livello di direttori della mia azienda e per così dire, trasversali. L’azione fu violenta e io che sono rimasto un provinciale, calcolai male l’impatto. Credevo ne avrebbero parlato tutti. Invece il Corriere quasi nascose la notizia. Repubblica, dopo uno sciopero di due giorni si adeguò e l’unica a riprenderla fu Striscia la Notizia per dire che Berlusconi era un simpatico mandrillo.

Chi c’era a Villa Certosa?
Mai saputo. Se si scoprissero nomi e occupazioni passate e presenti dei partecipanti alla riunione del 2007 si spiegherebbero molte cose. Curiosamente, Berlusconi ha dimenticato i nomi di chi fu ospite della sua dimora.

Berlusconi sostiene che Zappadu potè fotografare dall’interno.
I difensori di Berlusconi usarono il satellite. Fecero un sopralluogo di parte dieci giorni dopo e senza altri testimoni. Parlarono di rami secchi. Lasciamo perdere.

Perché gli altri giornali ignorarono la notizia?
Non lo so. So solo che per sinergia mi precipitai al Corriere a informare il dottor Mieli. Lui convocò caporedattori e vice. Uscii da via Solferino e percorsi 400 metri. Mi chiamò un collega di Oggi. Era preoccupato. ‘Ha chiamato Belpietro. Dice che devi essere impazzito’.

Chi avvertì Belpietro?
Lo ignoro. Così come non sono mai riuscito a capire chi avesse informato Maria Latella che mi aiutò e a cui mi rivolsi per avvertire Veronica Lario della pubblicazione delle foto.

Cosa le disse?
Era alla Scala. ‘Ho già saputo, Pino’. Noi, anche per calcolo, provammo comunque a essere delicati. Il lettorato di Oggi, cattolico e conservatore in gran parte votava Pdl e le foto di B. in estasi, con l’occhio strabuzzante erano già abbastanza volgari. A Mediaset, gli alti dirigenti mi chiamarono per manifestare ‘pena’.

Foto innocenti?
Devastanti. Una volta Corona mi disse che le ragazze del sultano giravano per Milano guidando le Mini. ‘Leggende metropolitane’ pensai. Invece le foto di Villa Certosa mi spalancarono l’orizzonte. Non erano solo la certificazione di una menzogna detta alla moglie e agli italiani. Erano di più. L’harem e il Berlusconi priapico esistevano. Non potevo ancora immaginare il bunga-bunga intorno alla lap dance, le 30 olgettine e il resto. Ma ci saremmo arrivati.

Cosa è stato per noi Berlusconi?
Un po’ Casanova, un po’ D’Annunzio, un po’ Alvaro Vitali. Un pezzo di storia. Un italiano. Ma non ne parli al passato. Non mi stupirei se tramontato il noiosissimo governo Monti, Berlusconi tornasse e rivincesse le elezioni.

Un anno e mezzo dopo lei fu destituito. Fu Villa Certosa a farle perdere il posto?
Non ho elementi per dire che l’avvicendamento fosse consequenziale, ma neanche per sostenere il contrario. So che vendevo 600 mila copie e oggi, nonostante certi rotocalchi Rcs vadano a rotoli, i loro direttori sono solidissimi.

A proposito. Lei tenne nel cassetto le foto di Sircana.
Feci un atto di lealtà verso Rcs che volle acquistare e poi non pubblicare e un gesto di compassione verso suo figlio. Un ragazzino che se avesse visto il padre vicino a un trans, avrebbe avuto seri problemi a scuola.

Tutto qui?
Per Sircana mi hanno impalato. Intervenne anche Cossiga e al presidente, rispondere era impossibile. Una carriera bruciata in 10 secondi. La mia. Nascosi le foto, ma non ero uno scemo e non mi vergogno. Ero e resto un professionista.

Fu un errore?
Sbagliai un rigore, ma questo, me lo concederà, capitava anche a Maradona. Belpietro mi pugnalò e poi disse: ‘Belleri ha agito in nome di interessi superiori’. Dovevano averlo ben relazionato.

Rifarebbe lo stesso?
Oggi lo gestirei diversamente, ricordandomi della regola aurea: ai concorrenti non si lascia niente. Accadde con Zappadu che minacciò: ‘Prendere o lasciare, altrimenti vado all’Espresso‘ e avrebbe dovuto valere anche per Sircana. Indietro, non si può tornare.

da Il Fatto Quotidiano dell’11 dicembre 2011

martedì 6 dicembre 2011

LA FINANZIARIA CHE VORREI

Di fronte alla scelta fra l'amputazione di una gamba o la morte certa nessuno sceglie la seconda, ma questo non vuol dire che l'ammalato ne esca rincuorato, sà che avra da affrontare una vita fatta di nuove difficoltà e la sua esistenza nè uscirà drasticamente compromessa, per contro avrà salva la vita. E' lo stesso dilemma che ci è stato posto dalla stangata Monti per farci rientrare nei limiti imposti dal duo Merkozy, sacrifici per tutti ora e la promessa che avremo forse qualche chance per evitare il fallimento con tutte le inevitabili tragiche conseguenze.
Il fatto è che i sacrifici vengono chiesti a tutte le classi sociali indipendentemente dalle possibilità effettive di poter sostenere questi nuovi oneri, la manovra è, come perle precedenti di Berlusconi, incentrata più sulle entrate che sui tagli della spesa, ma questo lo saprebbe fare qualsiasi laureato in economica, ma forse basterebbe anche un semplice ragioniere. In realtà si poteva far meglio senza voler colpire ulteriormente chi è già stato drasticamente toccato dalla crisi economica che ha causato una notevole riduzione dei posti di lavoro e ha ridotto le ritribuzioni di chi ancora è riuscito a manterlo uno straccio di lavoro.
Non sono un economista quindi non mi addentro in disquisizioni tecniche che non saprei affrontare, mi affido a chi ne sa certamente di più e sà affrontare la materia dando spiegazione di cifre e dati, ma più di tutto mi interessa sottolineare che non ci potrà mai essere giustizia senza equità, nè ripresa economica senza una più equa distribuzione dei redditi.


Addizionali, Imu sulla casa, Iva, benzina
tasse e rincari da 600 euro a famiglia

Tre tipologie di famiglie a confronto: la manovra pesa di più, in proporzione, sui redditi medio bassi che su quelli alti. Con un reddito da 30mila euro circa 480 euro di imposte in più. L'Ocse: l'Italia è uno dei Paesi avanzati con la maggiore disuguaglianza dei redditi di ETTORE LIVINI

Addizionali, Imu sulla casa, Iva, benzina tasse e rincari da 600 euro a famiglia

MILANO - Tanti (soldi), maledetti e subito. I mercati non attendono. Frau Merkel ci aspetta con la matita rossa per controllare se abbiamo fatto i compiti a casa. Il Governo Monti così, causa tempi stretti, ha partorito una manovra che ha il pregio di riavvicinare l'Italia al pareggio di bilancio e all'Europa - come dimostra la retromarcia degli spread di ieri - ma fatica ancora, complici i tempi stretti, a tener alta la bandiera dell'equità.

Certo, come ha detto il premier, i sacrifici non riguardano solo "i soliti noti": l'aumento dell'Iva colpisce sia i contribuenti virtuosi che i furbetti del fisco, ci sono l'una tantum sui capitali rientrati con lo scudo e la stangata su yacht, elicotteri e auto di lusso (gettito, va detto, poche decine di milioni). Mentre il ritorno sotto mentite spoglie dell'Ici e l'aumento degli estimi catastali spostano dal reddito al patrimonio il carico dei sacrifici.

Il risultato finale però è uguale: a cantare e portare la croce, anche nell'era del governo tecnico, sono sempre gli stessi. Il costo medio per famiglia del decreto "Salva-Italia" - ha calcolato l'ufficio studi della Cgia di Mestre - sarà di 635 euro, mentre secondo le stime delle associazioni dei consumatori arriverebbe addirittura a 1700 euro.

Ma proprio i provvedimenti "lineari" nati per spalmare la manovra sulle spalle di tutti hanno il paradossale effetto di penalizzare di più chi già ha il fiato corto: i lavoratori dipendenti che guadagnano di meno.

I casi elaborati dal think tank degli artigiani lagunari che riportiamo di seguito parlano da soli: il conto finale della stangata per una famiglia con il reddito inferiore ai 30mila euro è (in proporzione) superiore del 15% rispetto a chi di euro ne guadagna 50mila e addirittura del 60% a quello di una famiglia nelle cui tasche ne entrano 150mila, sfuggita in zona Cesarini all'aumento delle aliquote Irpef.

LA SIMULAZIONE: TRE FAMIGLIE A CONFRONTO

1. In proporzione pagano più i poveri
in arrivo un salasso da 480 euro
Famiglia bireddito. Un figlio a carico. Rendita abitazione: 600 euro
Un'auto a benzina che percorre 10mila km l'anno. Reddito annuo: 30.000 euro
Poveri e pure infelici. I redditi più bassi fino ai 30mila euro (34 milioni sui 41,5 dei contribuenti tricolori) sono quelli che, in proporzione, pagano il conto più salato al decreto "Salva-Italia". Presi uno per uno, i loro sacrifici paiono poca roba: un centinaio di euro in più per l'addizionale Irpef, un salasso (203 euro) per l'Imu, qualche decina di euro per il pieno dell'auto e gli aumenti Iva. Risultato finale: 480 euro l'anno di tasse in più. In totale l'1,6% del loro reddito, il 60% in più di chi di euro ne guadagna 150mila l'anno.

2. La pressione fiscale sale dell'1,6%
l'esborso massimo è di 790 euro
Famiglia monoreddito. Due figli a carico. Rendita abitazione: 800 euro
Un'auto a gasolio che percorre 20mila km l'anno. Reddito annuo: 50.000 euro
Sale un poco lo stipendio (gli italiani che dichiarano tra 30mila e 50mila euro sono circa 4 milioni) e per assurdo il carico fiscale della manovra diminuisce. In termini assoluti, naturalmente, chi guadagna 50mila euro l'anno pagherà più nuove tasse di chi è fermo a quota 30mila: 790 euro contro 480. Ma fatte le debite proporzioni le uscite aggiuntive pesano un filo meno sul bilancio di famiglia: l'1,58 per cento, con un esborso annuo tra Ici, addizionale Irpef, Iva e accise in crescita da 1.112 a 1902 euro.

3. Graziati dal mancato aumento Irpef
Il fisco chiede solo l'1% delle entrate
Famiglia monoreddito. Tre figli a carico
Rendita abitazione: 1100 euro. Seconda casa non affittata, rendita 1000 euro
Un'auto a gasolio che percorre 20mila km l'anno. Reddito annuo: 150.000 euro
Ricchi (abbastanza) e felici. Una famiglia con 150mila euro di reddito dopo le novità del decreto Salva-Italia paga 1.483 euro in più di gabelle. Una bella cifra, per carità, ma solo lo 0,98% delle entrate di casa. Gli italiani in questa fascia di reddito (pochissimi, tra i 70mila e i 150mila euro ce ne sono solo 780mila) se ne sono fatti rapidamente una ragione dopo aver scampato il pericolo del rialzo delle aliquote Irpef. Fossero state aumentate di due punti per scaglione dopo la soglia dei 70mila euro, ogni famiglia avrebbe pagato altri 1.600 euro in più.


Peggio ancora - si era capito dalle lacrime agrodolci di Elsa Fornero - va ai pensionati con assegni previdenziali appena superiori ai mille euro lordi, non certo una fortuna da Paperoni. Colpiti alla voce uscite con gli aumenti delle tasse (la falce di Imu, Iva e accise varie non sta a guardare la data di nascita sulla carta d'identità) e beffati pure dalla sterilizzazione della rivalutazione degli assegni previdenziali.

Piove sul bagnato: l'Ocse ha certificato ieri che l'Italia è uno dei paesi più avanzati con la maggiore disuguaglianza dei redditi. Una leadership consolidata negli ultimi anni in cui il divario tra ricchi e poveri tricolori si è allargato a ritmi da primato: la penisola è all'ottavo posto (su 34 nazioni) nella hit parade per la disparità sociale, mentre viaggia al quinto posto nella graduatoria per l'allargamento della forbice tra inizio anni '80 e 2010.

Il decreto "Salva-Italia", purtroppo, rischia di farci guadagnare ancora qualche posizione in classifica. Anche perché chi ne esce meglio - manco a dirlo - sono davvero i soliti noti: quei professionisti dell'evasione fiscale che nascondono ogni anno al fisco 220 miliardi di euro. Pagheranno un po' più di Iva e di Ici, sborseranno qualche euro in più per il pieno all'auto. Si faranno furbi per dribblare l'asticella (non proprio insormontabile) del tetto ai mille euro per il contante. Ma tutto lì. Almeno a loro, per ora, è andata bene.

lunedì 28 novembre 2011

ADRIANO OLIVETTI ED IL SOGNO DI UNA POLITICA DIVERSA

Adriano Olivetti pensava ad un nuovo ruolo dei partiti, e sosteneva:
“Alla fine del fascismo la maggior parte degli intellettuali vedeva nei partiti uno strumento di libertà. Io no. Sono organismi che selezionano personale politico inadeguato. Un governo espresso da un Parlamento così povero di conoscenze specifiche non precede le situazioni, ne è trascinato. Ho immaginato una Camera che soddisfi il principio della rappresentanza nel senso più democratico; e poi sappia scegliere ed eleggere un senato composto delle persone più competenti di ogni settore della vita pubblica, della economia, dell’architettura, dell’urbanistica, della letteratura”.

Alla luce di quanto sopra bisogna dire che ci aveva proprio azzeccato, visto il disastro che i partiti hanno creato in questi 50 anni di presunta democrazia, la realtà è che hanno pensato solo a loro stessi, ai propri miseri interessi e poco o nulla si sono preoccupati dei veri problemi, hanno preferito tergiversare, aspettare, delegare e così un pò alla volta si è generato il disastro che è sotto l'occhio di tutti noi.

venerdì 25 novembre 2011

Il Gianni Letta che (non?) ti aspetti

Art. 21 Cost. / Notizie: Il Gianni Letta che (non?) ti aspetti: . Confesso che mi disturba molto leggere elogi smisurati bipartisan nei confronti del fido consigliere di Berlusconi. Chi vive vicino al sa...

Ignazio La Russa e gli sprechi indecenti

Io non lo detesto per le spese superflue a nostro carico, quanto perchè è una ma persona totalmente indegna.

Art. 21 Cost. / Notizie: Ignazio La Russa e gli sprechi indecenti: . Assolutamente detestabile da ogni persona che abbia un minimo di intelligenza, buonsenso e cuore. Uno dei peggiori elementi in tutto il P...

EURO E IL BA,LLO DI SAN VITO


A mio avviso questo è uno degli articoli più interessanti che dà spiegazione dell'attuale crisi dell'euro, dà la cronistoria dei fatti e degli avvenimenti che hanno anticipato e causato questa grave situazione che potrebbe mettere a repentaglio l'esistenza della zona euro, d'altra parte abbiamo costruito un'entità astratta che si fonda solo su parametri economici e finanziari, ma la distanza cultutale,politica,linguista, è abissale e difficilmente potrà permettere che questa entità possa durare a lungo.

Monti non è il meno peggio. E' l'ultimo rantolo prima del Ballo di San Vito

di Giulietto Chiesa.

Il punto di partenza di questo ragionamento è una constatazione: nel 2007 è sopravvenuto il crollo repentino del sistema finanziario mondiale (sarebbe più preciso dire del sistema finanziario occidentale, perché la Cina e altri paesi del mondo emergente sono rimasti per ora fuori dalla catastrofe, per diversi motivi che non è possibile qui approfondire). Alla fine del 2007, in sostanza, tutte le grandi banche d’investimento, e affini, che rappresentano il vero potere mondiale al momento attuale - di gran lunga più potenti di quasi tutti i più forti paesi dell’occidente, e indifferenti al destino di questi ultimi - sono andate in fallimento.

La prima cosa da rilevare – ed è molto importante sottolinearlo – è che la finanza mondiale è crollata per cause interne, endogene. Non ha subito minacce da un qualche “esterno” ostile. È affondata da sola. Il che si può anche esprimere in termini economici, con la formula di “crisi sistemica”. Perfino il presidente della Commissione Europea, Manuel Barroso, ha usato recentemente questa definizione. Che significa che una semplice cura (cura da crisi ciclica, cura da crisi di sovrapproduzione, etc.) non basterà per risollevarne le sorti. Anzi, si può dire, al contrario, che è ormai impossibile salvare il sistema, che si è rotto irrimediabilmente perché ha in sé la causa della sua fine.

Le cause di questo disastro sono da analizzare, ma qualche data di riferimento è già possibile individuarla. La più importante delle quali è il 12 novembre 1999, quando il presidente William Jefferson Clinton promulgò la legge Gramm-Leach-Bliley, che cancellava la legge Glass-Steagall del 1933 e dava licenza alle banche d’investimento e a tutta una serie di operatori finanziari, di lanciarsi in ogni forma di attività speculative.

I disastri successivi della finanza americana sono noti, anche se non sono stati abbastanza studiati. Nel 2001 crolla la Enron Corporation, dopo che erano già crollati altri giganti come la LTCM (Long Term Capital Management). Sono solo alcuni esempi dei molti eventi nuovi che cominciarono a palesarsi. Anche in funzione e come effetto di altre norme ultra-liberalizzatrici , come il Commodity Futures Modernization Act (CFMA), anch’esso firmato da Clinton nel 2000, poco prima di lasciare il suo secondo mandato, che legalizzava quasi totalmente la sottrazione da ogni forma di controllo di tutti i prodotti finanziari derivati , sia da parte della Security Exchange Commission (SEC), sia dalla Commissione che controllava il commercio dei futures.

Fu così che prese avvio una forsennata, davvero demenziale, moltiplicazione di derivati finanziari che venivano trattati fuori dalle borse e fuori da ogni controllo. Per rendersi conto di cosa è avvenuto (e di cosa sta continuando ad avvenire mentre scrivo queste righe) basti rilevare che dal 2000 alla metà del 2008 (anno del fallimento globale) questo tipo di operazioni balzarono da circa 100 trilioni di dollari a 684 trilioni.

Ora io affermo che la causa della crisi sistemica attuale deriva dalle decisioni sopra ricordate, che hanno prodotto una liberalizzazione completa dei movimenti di capitali e di creazione di derivati: decisioni che hanno creato le premesse per una smisurata crescita del debito mondiale.

Così, alla “bolla” tecnologica, che produsse il crollo del NASDAQ, seguì poi la bolla dei subprime, che ha portato al crack di quasi tutti i principali protagonisti della finanza occidentale. Questo ha condotto, come sappiamo, alla liquidazione di un gruppo ristretto di questi giganti: sono stati sacrificati, sull’altare della follia, Bear Sterns, Merrill Lynch, Morgan Stanley, Lehman Brothers, ma altri giganti, prima di tutto Goldman Sachs, si sono salvati e hanno continuato a prosperare.

Quello che qui importa sottolineare, di nuovo, è che le regole non sono state mutate affatto. Bisogna trovare una risposta a questa domanda. E la risposta è semplicissima. I “proprietari universali” non lo hanno permesso. Aggiungo: non c'è alcuna ragione per pensare che lo faranno in futuro.

Barack Obama non ha mosso una virgola in questa direzione. E, sotto la sua guida, la Federal Reserve ha erogato (tra il dicembre 2007 e il giugno 2010) la fantastica cifra di 16 trilioni di dollari, a tasso d’interesse uguale a zero, a tutte le più importanti banche d’investimento dell’Occidente. A partire dal gigantesco flusso che erogava a Citigroup 2,3 trilioni di dollari. Tra gli altri, poco meno di un trilione (864 miliardi $) è transitato sui pingui conti di Goldman Sachs.

Le cose curiose sono numerose: la prima è che la Federal Reserve ha rivelato con ciò stesso di essere la banca di tutto l'occidente, il vero e unico prestatore in ultima istanza (e che, se questo stato di cose non cambierà, il sistema è destinato a un crollo globale per molte e convergenti ragioni, la prima delle quali è che gli interessi attuali degli Stati Uniti non coincidono più, ad esempio, con gl'interessi dell'Europa). La seconda è che la manovra è stata fatta segretamente, e in violazione delle stesse leggi americane, che prevedono l’autorizzazione del Congresso degli Stati Uniti per operazioni anche di gran lunga inferiori quanto a dimensioni. La terza è che la Federal Reserve ha ricapitalizzato non solo le banche d’investimento americane, ma tutte le più importanti banche occidentali. Fanno parte dell’elenco, infatti, giganti “europei” come Deutsche bank, Paribas, Union des Banques Suisses, Credit Suisse, Barclays, the Royal Bank of Scotland etc

Questa mossa è il riconoscimento del fallimento globale della finanza americana. Ovvio che non potesse essere resa pubblica, finché qualche benemerito parlamentare non ha costretto la FED a tirare fuori le carte. Ma altrettanto ovvio che, senza cambiare le regole, le banche ricapitalizzate avrebbero continuato a muoversi verso il precipizio alla stessa velocità. Solo che gli asset tossici americani, già sparpagliati su tutto il mercato globale, non potevano e non possono più essere venduti, perché non ci sono più compratori disposti ad acquistarli.

In una certa parte sono stati assorbiti dalla Federal Reserve. Ma gli altri sono rimasti e sono carta straccia inutilizzabile. In sostanza il volume del debito, già spropositato (si calcola da più parti che abbia ormai superato di almeno una quindicina di volte il prodotto interno lordo mondiale, scavando un fossato incolmabile tra il mercato dei beni e servizi materiali e un mercato finanziario sempre più fittizio e irreale) si va ulteriormente ingigantendo.

Chiunque dovrebbe capire che la tenuta di questa nuova bolla, dalle dimensioni senza alcun precedente, non può durare a lungo. E, quando esploderà, l’effetto si annuncia ben più grave del crollo del 1929.

È in questo contesto che esplode il problema dei debiti sovrani europei. La Grecia ha svolto il ruolo di prima vittima, di cavia sperimentale. Ma, se si capisce il meccanismo, si vedrà subito che la questione è di vita o di morte per la sopravvivenza degli Stati europei, di tutti (in quanto Stati sovrani come li conosciamo al momento), e per la sopravvivenza stessa di una Europa sovrana, composta di Stati sovrani.

Non si vede infatti come possa esistere una Europa sovrana se essa risulterà composta di stati assoggettati a logiche e interessi “esterni”, in quanto non sottoposti ad alcuna verifica di legittimità democratica da parte dei rispettivi popoli, che rimangono l'unica sorgente di potere, ma ormai vengono sopravanzati da una logica tecnocratica che non intende e non può più dare spazio ad alcun controllo dal basso del suo operato.

L'origine di questa crisi è, a mio parere, il derivato di un tentativo disperato delle grandi banche d'investimento di riprendere la corsa forsennata a redditività "over 15%"(il famoso ROE, ovvero Return on Equity), nelle condizioni in cui la crescita dell'intero occidente (sempre che ce ne sia una) è ormai confinata nei decimali dell'unità. Se c'è una prova della follia, sta proprio in questa assurda pretesa.

L'occasione era già stata preparata nel momento stesso e nel modo in cui fu concepito l'euro. Fu in quel momento, alla fine degli anni '90, che l'Europa autorizzò le banche d'investimento del pianeta a considerare a zero rischio i debiti dei paesi dell'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).

Come scrive il New York Times in un articolo assai rivelatore dell'11/11/11, erano loro quelli che “made it”, che avevano fatto il grande passo di creare una moneta nuova. Che, nelle intenzioni di alcuni, avrebbe dovuto diventare un alter ego del dollaro, nelle intenzioni di altri un contraltare del dollaro, un'alternativa alla divisa statunitense. Ma in ogni caso si trattava di un'operazione dall'evidente significato globale e occorreva lanciare in tutte le direzioni un messaggio di assoluta sicurezza: noi saremo in grado di proteggere tutti da ogni fallimento. Appunto: i capitali che arriveranno qui saranno assicurati al 100%: rischio zero.

Adesso sappiamo che si sbagliarono di grosso. Ma allora sembrava il contrario, e non ci furono voci che misero in discussione quell'assunto.

Le grandi banche d'investimento, quelle americane in primis (ma anche quelle europee, i gestori dei fondi pensione, dei fondi comuni, delle compagnie di assicurazione, tutti emergenti dal disastro dei subprime che si erano sparsi come un'epidemia su tutti i mercati), si precipitarono a piazzare le loro liquidità (o, più brutalmente, nell'aprire altri debiti) nell'acquisto dei bonds europei.

E, come di nuovo scrive il New York Times nell'articolo citato (“What banks once saw as safe has now turned toxic”. Quello che le banche avevano considerato sicuro, si è ora trasformato in tossico), «intrappolati nel caos del subprime, i prestatori avevano visto il debito europeo come un paradiso da cui trarre profitto». E, per trarre il massimo profitto, in situazione pressoché disperata di insolvenza, ecco che, «per paura e avidità», si gettarono su quei bond che avrebbero garantito il massimo interesse. Dunque il loro obiettivo diventarono subito non i più sicuri (era stato detto che tutti sarebbero stati ugualmente sicuri, sebbene l'evidenza dicesse il contrario), ma i più redditizi. L'esempio greco è illuminante.

Ma, a parte i sesquipedali “errori” di valutazione della finanza internazionale, più simili a cecità ideologica assoluta, si vede qui in trasparenza che l'Europa odierna, quella di Lisbona, altro non è che il luogo dove le decisioni dei “proprietari universali” (così li chiama, opportunamente, Luciano Gallino) vengono trasformate in leggi, cioè dove la rapina del sistema a danno degli Stati e dei popoli viene legalizzata.

Intendo precisare che la finanziarizzazione del debito pubblico degli Stati non è stato un incidente di percorso, né un portato oggettivo di tendenze inevitabili. Essa è stata introdotta da noi con una decisione politica precisissima, ben meditata e preparata. Questa decisione politica si chiama Trattato di Maastricht e, per realizzarla, sono state spese risorse enormi, un esercito di propagandisti e zelatori è stato messo in movimento, armato e finanziato da decine di centri di influenza, di think-tanks, di lobbies.

Qui varrebbe la pena di analizzare in dettaglio come funziona la macchina che ha prodotto una tecnocrazia di “posseduti” dal denaro.

Una rete di rapporti che copre tutte le assemblee elettive europee, i governi, le coorti di funzionari provenienti dai centri universitari sotto il controllo della finanza, le commissioni governative, i dipartimenti della Commissione Europea, i dirigenti dei partiti politici.

Questo campo di forze è stato cementato dall'ideologia della insostituibile efficienza dei mercati finanziari, dalla sacralità delle valutazioni delle agenzie di rating, dall'ideologia della crescita, mantra che porta in sé una serie di corollari dogmatici assoluti: la inevitabilità della globalizzazione, l'interesse superiore che deve annullare, in nome della stessa crescita, ogni pretesa di “particulare”, di “local”, di non standardizzato. Cioè, per definizione di questo stuolo di sacerdoti della religione del dominio finanziario, ostile all'efficienza, cioè ostile alla “razionalità della rapina”.

È con questa micidiale rete di pressioni che il ristrettissimo vertice dei “proprietari universali” riesce a far passare la propria visione del mondo. È mediante questo esercito di “posseduti”, del quale sono parte integrante i massimi dirigenti politici dei partiti di destra e di sinistra, dei ministri di ogni ordine e rango, dei vertici militari e dei servizi segreti, degli ambiti accademici più importanti e meglio retribuiti che è passata l'ideologia del pensiero unico finanziario.

Il risultato è stato ottenuto, e ben prima di questa crisi. Il Trattato di Maastricht vieta alle banche centrali di finanziare direttamente gli Stati, obbligandoli, letteralmente, a cercare prestatori nei mercati finanziari.

Il debito degli Stati si trasforma così in una merce finanziaria, che può essere comprata e venduta su ogni mercato, può essere oggetto di speculazione e scommessa, può essere spezzettata in parti e inserita in “pacchetti” di derivati, districare la cui composizione diventa impossibile a chiunque.

I destini sottostanti dei popoli, delle donne e uomini in carne ed ossa, vengono totalmente oscurati. Ciò che rimane visibile sono le sequenze di valutazioni delle borse che ormai sfilano sotto gli occhi dei telespettatori nella stazioni ferroviarie, sui treni, in ogni programma informativo. È l'ipnosi di massa cui è impossibile sottrarsi. Il tenore di vita di milioni e milioni di individui viene sconvolto in base a meccanismi che paiono inesorabili, comunque sconosciuti alle grandi masse, spesso manovrati da pochissime mani, spesso addirittura frutto di elaborazioni automatiche di computer opportunamente preparati.

Sono decine gli esempi che potrebbero essere portati per svelare il meccanismo del dominio dei “proprietari universali”, un dominio che ha già annullato da tempo ogni illusione di democrazia. La democrazia liberale, la divisione dei poteri, sono stati da tempo sostituiti da meccanismi decisionali che scavalcano ogni forma di controllo. Nell'utilissimo libro di Luciano Gallino intitolato “Con i soldi degli altri”, vengono portati esempi al tempo stesso agghiaccianti e illuminanti di come l'Europa, cioè il Consiglio, la Commissione, il Parlamento usino commissionare la stesura delle regole a gruppi privati di “esperti”, che sono, tra i “posseduti”, i più direttamente legati proprio ai grandi centri finanziari.

È superfluo notare che normative cruciali sono state fatte passare nella più grande ignoranza della stragrande maggioranza degli stessi parlamentari europei, che votano quasi tutto ciò che viene loro proposto senza sapere cosa votano e come è stata confezionata la polpetta avvelenata che viene loro proposta, compilata in uffici privati, a loro volta profumatamente retribuiti per organizzare la rapina su pubblici ignari.

Alla luce di tutto questo, non dovrebbe stupire il fatto nuovo che stiamo registrando: di fronte a una crisi che diventa sempre più ingovernabile, i “proprietari universali” appaiono costretti a portare al potere, direttamente nei singoli Stati, i loro uomini più fidati.

La politica tradizionale, negli Stati più deboli, è troppo corrotta e inefficiente, troppo necessitata dallo scendere a patti – nel modo più indecoroso, naturalmente, cioè con il voto di scambio – per poter consentire la macelleria sociale necessaria. Quindi si va verso “governi tecnici” (presentati cioè come tali, ma niente affatto tecnici) guidati da uomini di assoluta fiducia, che devono agire al di fuori delle norme democratiche precedenti. L'arrivo al potere in Grecia di Lucas Papademos (ex governatore della Banca Centrale Greca dal 1994 al 2002, cioè uno degli organizzatori dei conti truccati fatti da Goldman Sachs, che hanno aperto l'offensiva contro Atene), di Mario Draghi al vertice della Banca Centrale Europea (uomo di Goldman Sachs, come vice-presidente per l'Europa dal 2002 al 2005, stessi anni in cui si realizza l'affondamento greco), di Mario Monti alla testa del governo Napolitano (anche Monti, che dal 2005 era consigliere internazionale della stessa Goldman Sachs): tutti questi avvicendamenti, accompagnati dalla ripetizione che si devono adottare “misure impopolari”, cioè misure antipopolari, e che non si deve assolutamente chiedere il parere dei popoli, cioè niente elezioni, niente referendum, solo decisioni “tecniche” per realizzare la T.I.N.A. (There Is No Alternative), dimostrano che la situazione è divenuta ormai ingovernabile e che i poteri forti hanno scelto di adottare misure energiche per affrontare l'imprevisto.

Tra le misure energiche, ovviamente, non è previsto il cambio delle regole vigenti. Se non nel senso, del tutto opposto, di trasformarle in leggi universali alle quali non sarà possibile sfuggire. Non è un caso che i governi di Grecia e Italia siano stati di fatto commissariati dalla Banca Centrale Europea (e da Goldman Sachs), invertendo quasi comicamente il dogma già elevato sugli altari bancari dell'occidente: la Banca Centrale dev'essere del tutto indipendente dai poteri politici. Adesso i poteri politici sono diventati dipendenti da quelli della Banca Centrale, al punto che è quest'ultima che decide come si formano e come devono essere esautorati.

In fila, ad aspettare la loro sorte, ci sono Spagna, Portogallo, Irlanda. E, tra non molto, anche Francia e altri. Dunque il costo del presunto risanamento (comunque impossibile perché la massa del debito e di diversi ordini di grandezza superiore alle possibilità tecniche di ripianarlo) deve ricadere sulla gente comune europea. Questo, a sua volta, significa la rottura del patto sociale che ha retto la costruzione europea negli ultimi cinquant'anni. In particolare questa rottura sarà percepita subito dai paesi dell'Europa occidentale, che hanno potuto apprezzare i vantaggi del welfare state. Il resto dei 27 percepirà con qualche ritardo, ma non potrà uscirne meglio.

Resta il grande interrogativo: quale sarà la reazione popolare a questa svolta, sicuramente drammatica? Il quadro visibile dice che, in questo momento, in Europa non esiste una opposizione organizzata, continentale, a questa svolta.

I partiti delle sinistre si rivelano imbelli e privi di ogni visione alternativa. Le leadership, sia di destra che si sinistra, non solo non si rivelano all'altezza, ma danno l'impressione di non capire nemmeno quello che sta accadendo.

E neanche questo non deve stupire. Essendo essi “posseduti”, non fanno che riflettere l'incertezza e il panico che pervade i “proprietari universali” loro committenti.

Si danno due esiti possibili: nel primo i popoli europei saranno schiacciati, cioè divisi, manipolati e repressi, con varie gradazioni di ciascuna di queste componenti. Oppure reagiranno. Ma, privi di guida come sono, lo potranno fare solo in forme confuse, senza obiettivi politici comuni, senza una “visione strategica”. Il rischio è una generale deriva a destra, verso forme xenofobiche, reazionarie, isolazioniste, primitive. E, anche questa è la premessa per una sconfitta epocale, che precede una catastrofe continentale: in primo luogo dei diritti e delle libertà, in secondo e immediato luogo, delle condizioni sociali di larghissime masse di popolo.

Tutto ciò impone una riflessione di tutti coloro che, invece di piangere e deprecare, si pongo il problema del che fare. Quello che manca è un grande partito europeo di alternativa. Un “Partito dei Popoli Europei”. Da creare nei tempi più rapidi possibile. I movimenti, per lo più giovanili, che si stanno formando, possono esserne la base. L'essenziale è non illudersi che, da soli, possano produrre questo partito europeo.

Ma la cosa più grave è che, con queste ricette (quelle di Draghi, Monti e Napolitano, cioè quelle della finanza vincente) non si risolverà nulla. Tutte le chiacchiere con cui viene ammantata la serie delle misure anti-popolari sono fondate sull'ipotesi di una futura crescita economica. Ma tutto ciò che sappiamo è che l'Europa sta andando in recessione, tutta intera. La stessa locomotiva tedesca è prevista in crescita, per il 2012, dello 0,8%, che equivale alla stagnazione. Per gli altri è peggio. Dunque impostare sulla crescita un programma di sacrifici a intere popolazioni, per salvare le banche, significa costruire sulla sabbia. Tra una manciata di mesi sarà evidente che la crisi della finanza e dell'economia occidentale è irrimediabile.


La prospettiva è un altro 1929. Solo che sarà di gran lunga più devastante. Le previsioni più attendibili vengono da un gruppo di esperti francesi (per questo solo fatto più attendibili, perché ciò che scrivono i commentatori americani e britannici è ormai quasi del tutto inattendibile) raggruppati dietro il bollettino con sigla GEAB (Global Europe Anticipation Bulletin).

Anche loro individuano una “crisi sistemica globale”. Nella quale sono già stati bruciati, dallo scorso luglio, circa 15 trilioni di dollari. La deriva, sostengono, è inarrestabile e porterà alla sparizione nel nulla, da dove sono venuti, di altri 30 trilioni di dollari nel corso del 2012. com'è noto, sono già stati bruciati, dallo scorso luglio, 15 trilioni di dollari. Si prevede che, dopo la svalutazione reale del 50% del debito greco, seguiranno le svalutazioni, mediamente, del 30% dei debiti italiano, spagnolo, portoghese, irlandese.

Tuttavia il gruppo GEAB appare assai meno preoccupato del destino dell'euro di quanto non sia di quello del dollaro USA. Infatti – sulla base di quanto già detto in precedenza in queste righe – la detonazione dei debiti pubblici europei, oltre a mettere in crisi le banche francesi, tedesche, belghe e olandesi, produrrà l'esplosione del debito pubblico americano, data l'esposizione degli investitori istituzionali statunitensi sul debito europeo. La cifra più impressionante in merito viene dalla valutazione del debito privato negli Stati Uniti che, oltre allo stato pre-comatoso di quello pubblico, ha ormai raggiunto il 240% del PIL (basti pensare che il debito privato greco, già altissimo, raggiunge appena il 120% del PIL di quel paese. Quello italiano, si noti, è appena del 43% del PIL). La conseguenza, prevista, potrebbe essere una misura obbligata: la svalutazione del dollaro del 30% almeno, unico modo per attenuare il peso dell'indebitamento complessivo degli Stati Uniti.

In sostanza chi sta peggio non è l'Europa, ma sono gli Stati Uniti. In queste condizioni una vittoria di Obama appare sempre meno probabile. E se vince uno dei candidati repubblicani, c'è ragione di temere il peggio per il contesto internazionale. Perché anche di questo occorre tenere conto. La crisi colpisce l'economia e la finanza occidentale, ma occorre cercare di capire gli effetti che questa produrrà sul resto del mondo e sulle sue relazioni con l'Occidente. Una cosa è certa: il quadro mondiale sta entrando in una fase di vertiginosa ebollizione. È il contesto che prepara una guerra.

J.LO COME PRENDERSI GIOCO DEI SENTIMENTI



Nel suo recente spot per la Fiat 500 Jennifer Lopez dice di aver ritrovato le sensazioni provate nel ripercorrere le strade tanto amate sin da bambina: «Questo posto è il mio mondo. Questi luoghi mi spingono a essere più tenace, a pensare più velocemente. Per voi sono solo strade, ma per me sono un parco giochi». Peccato che le scene non siano girate a New York nel Bronx ma bensì a Los Angeles, poco male i trucchi scenografici ci possono stare, ma poteva risparmiarsi il racconto patetico dei ricordi della giovinezza, ben sapendo di non essere materialmente lì, bensì a 5000 di miglia di distanza, come dice il proverbio: "lontano dagli occhi, lontano dal cuore" sì ma non dal portafoglio.

GUERRA CHIMICA: GLI ORRIBILI DIFETTI ALLA NASCITA COLLEGATI AI PESTICIDI

Credo che una delle funzioni principali che ha ilweb sia quello di informare e dare notizie che altrimenti non verrebbero mai conosciute se non da una piccola schiera di persone, questa è una di queste, non meno sconvolgente di molte altre ma comunque grave e preoccupante, non dobbiamo pensare che se certi fatti avvengono lontano da noi non ci riguardino od interessino, prima o poi ci coinvolgeranno direttamente ed allora pentimenti e lacrime saranno inutili.

PER I POMODORI

DI BARRY ESTABROOK
The Ecologist

I “bambini di Immokalee” hanno riportato alla nascita gravi malformazioni a causa delle infezioni da pesticidi contratte dalle loro madri durante la raccolta dei pomodori. Barry Eastbrook ci parla del caso che ha scioccato gli Stati Uniti.

Tower Cabins è un campo di lavoro costituito da una trentina di baracche e qualche roulotte in rovina, tenute insieme da un recinto di legno non verniciato a sud di Immokalee, nel cuore delle grandi piantagioni di pomodori della Florida sud-occidentale.

La comunità di poveri braccianti immigrati è desolata nel migliore dei casi, ma poco prima del Natale di qualche anno fa avevano di che rallegrarsi. Tre donne, tutte vicine di casa, stavano per partorire a breve distanza l’una dall’altra, nel giro di sette settimane. Ma nella vita dei raccoglitori di pomodori è sottile il confine tra speranza e tragedia.

Il primo bambino, figlio del 20enne Abraham Candelario e della moglie 19enne Francisca Herrera, arriva il 17 dicembre. Lo chiamano Carlos. Carlitos (come è soprannominato) nasce con una rarissima forma di “sindrome di tetra-amelia”, che gli provoca in breve la perdita sia delle braccia che delle gambe.

Circa sei settimane più tardi, un paio di capanne più in là, Sostenes Maceda dà alla luce Jesus Navarrete. Il bambino soffre della sequenza di Pierre Robin, una disfunzione della mascella inferiore per cui la lingua tende continuamente a riversarsi all’interno della gola, rischiando di farlo morire soffocato. I genitori sono costretti a nutrirlo per mezzo di un tubo di plastica.

Due giorni dopo la nascita di Jesus, Maria Meza mette al mondo Jorge. Ha un orecchio solo, niente naso, una palatoschisi, un unico rene, niente ano e nessun organo sessuale visibile. Solo dopo un esame dettagliato di quasi due ore, i dottori riescono a stabilire che Jorge è in effetti una femmina. I genitori le cambiano il nome in Violeta. Ma le malformazioni congenite sono così gravi che sopravvive soltanto tre giorni.
Oltre al fatto di vivere nel raggio di cento metri l’una dall’altra, Herrera, Maceda, e Meza hanno un'altra cosa in comune. Lavorano tutte per la stessa compagnia, l’Ag-Mart Produce, e nello stesso sconfinato campo di pomodori. I consumatori conoscono Ag-Mart soprattutto per i suoi pomodori commercializzati con il nome Ugly-Ripe e i grappoli di Santa Sweets venduti in contenitori di plastica a forma di conchiglia, abbelliti con tre sorridenti e danzanti pupazzi-pomodoro di nome Tom, Matt e Otto. "I bambini amano fare merenda con le nostre sorprese", dice lo slogan della compagnia.
Dalle file di pomodori dove lavoravano le tre donne durante i mesi di gravidanza, non si godeva di una visione così confortevole. Un cartello all’entrata avvertiva che la piantagione era stata trattata durante la stagione della semina con almeno trentun tipi diversi di composti chimici, molti dei quali erano indicati come “altamente tossici” e almeno tre l’erbicida Metribuzin, il fungicida Mancozeb e l’insetticida Avermectin sono noti per i loro effetti nocivi "per lo sviluppo e la riproduzione", secondo il Pestice Action Network. Sono teratogeni, ossia possono provocare malformazioni alla nascita.
Violazioni della sicurezza

Per l'utilizzo agricolo di questi veleni negli Stati Uniti, l'Environmental Protection Agency impone "intervalli d'accesso ristretto" (REI nel gergo dell'agricoltura chimica) tra il momento in cui i pesticidi vengono applicati e quello in cui è consentito ai lavoratori di accedere alla piantagione. In tutti e tre i casi, le donne hanno dichiarato di aver ricevuto ordine a procedere al raccolto in violazione della normativa REI.

"Mentre lavoravamo alla piantagione, sentivamo distintamente l'odore degli agenti chimici", ha raccontato Herrera, madre di Carlitos. Accertamenti successivi hanno dimostrato che Herrera lavorò in campi trattati di fresco con il mancozeb dai ventiquattro ai trentasei giorni dopo la concezione, la fase in cui il feto inizia a svilupparsi fisicamente e neurologiamente.

Meza ricorda: "Mi è successo diverse volte al lavoro di respirare l'agente chimico una volta che si era seccato e polverizzato." Nonostante la normativa imponga a chi maneggia simili pesticidi l'utilizzo di maschere protettive, guanti appositi, grembiuli di gomma e respiratori al vapore, le tre donne hanno dichiarato di non esser state avvertite dei rischi dell'esposizione agli agenti chimici. Non indossavano equipaggiamenti protettivi, a parte le bandane con cui si coprivano (inutilmente) la bocca per cercare di evitare l'inalazione.

Herrera ha inoltre raccontato di essersi sentita male durante tutto il periodo in cui lavorò alla piantagione, di esser stata soggetta a attacchi di nausea, vomito, vertigini e a svenimenti. Occhi e naso le bruciavano per l'irritazione. Aveva sviluppato anche eruzioni cutanee e ferite aperte.

Mollare il lavoro non era possibile. Herrera ricorda che il suo capo, un sub-appaltatore di Ag-Mart, le disse che se si fosse ritirata sarebbe stata cacciata a pedate dall'alloggio fornitole presso la piantagione. Ironia della sorte, l'imminente arrivo del primo figlio rendeva ancor più indispensabile per lei e il marito un tetto sopra la testa. Lavorò alla piantagione a partire dal concepimento fino al settimo mese di gravidanza, una manciata di settimane prima dell'arrivo prematuro di Carlitos. E anche dopo aver lasciato la piantagione, continuò a lavare a mano gli abiti contaminati di suo marito e del fratello, Epifanio.

La malformazione alla mascella di Jesus si dimostrò meno pericolosa di quanto era sembrato all'inizio, e i dottori dissero alla madre che le condizioni del bambino sarebbero probabilmente migliorate con la crescita.
I genitori di Violeta dovettero piangere la morte della bambina. Ma dopo la nascita di Carlitos, i problemi di Herrera e Candelario non fecero che aumentare. Si avvicinava la fine della stagione del raccolto invernale in Florida, e la famiglia sarebbe dovuto emigrare a nord per trovare lavoro. Ma Carlitos necessitava di cure mediche costanti che gli venivano fornite per mezzo di un'agenzia locale, la Children’s Medical Services della contea di Lee. Pur essendo cittadino americano per nascita, i suoi genitori erano messicani e privi di documenti. L'espulsione dal Paese era un rischio reale.

Le cose peggiorarono ulteriormente quando a tre mesi di età il bambino sviluppò problemi respiratori. Periodicamente doveva essere trasportato in aereo da Immokalee al Miami Children's Hospital. Privi di automobile, Herrera e Candelario dovettero farsi accompagnare dagli operatori sociali da un capo all'altro dello Stato, in viaggi che potevano durare anche cinque ore e che erano possibili solo nei giorni in cui Candelario non veniva chiamato alla piantagione, dove era ancora costretto a lavorare per pagarsi l'affitto.

Assistenza giuridica
Uno degli operatori sociali giunto in aiuto dei genitori di Carlitos si rese conto delle insostenibili difficoltà che la famiglia stava affrontando. In cerca di assistenza legale, contattò un avvocato del posto e questi gli confidò che il caso era talmente complesso che avrebbe sarebbe stato un rompicapo per chiunque. Ma l'operatore aveva comunque un collega specializzato in lesioni personali, affidabilità dei prodotti e in cause per illeciti sanitari.

Alzò la cornetta del telefono e digitò il numero di Andrew Yaffa, partner della Grossman Roth, con uffici a Miami, Fort Lauderdale, Boca Raton, Sarasota e Key West. Senza saperlo, Abraham Candelario, Francisca Herrera e Carlitos stavano per andare incontro a una prima cesura della lunga catena di sventure che avevano segnato sinora la loro esistenza. Chiunque sia stato coinvolto in incidenti d'auto, infortuni sul lavoro o danneggiato da un medico negligente non può fare scelta migliore che affidarsi alle cure di Andrew Yaffa.

Quando lo incontrai, capii subito perché Yaffa è arrivato a essere un avvocato di grido. Il giorno del nostro appuntamento, era indaffarato fuori dalla sala di rappresentanza della sede della sua azienda a Boca Raton. "Vivo come fosse una scatola di Federal Express,” mi disse, "ho pratiche da sbrigare in tutti gli uffici della ditta." Quel pomeriggio si era impossessato del tavolo dell'aula solitamente adibita alle conferenze. Faldoni e raccoglitori sparpagliati ovunque. Il computer portatile aperto. Un suo costoso cappotto buttato sullo schienale di una sedia e la cravatta sciolta. Ogni due minuti sul tavolo suonava un cellulare a cui lui dava un'occhiata veloce per poi rimetterlo a posto senza perdersi un solo squillo.

All'epoca della nascita di Carlitos nel 2004, Yaffa aveva poco più di quarant'anni ed era già uno degli avvocati più quotati di tutto lo Stato. Si era aggiudicato sentenze da milioni e milioni di dollari in processi sostenuti di fronte ad alcuni fra i giudici più esigenti della Florida. Uno dei suoi avversari me lo descrisse in una e-mail come "un grande avvocato […] una persona di solidi principi […] integra […] associato di uno studio prestigioso […] creativo […] innovativo […] brillante […] eticamente ineccepibile."

Yaffa è di statura alta e ha un aspetto fotogenico che lo renderebbe perfetto per la parte da protagonista se qualcuno decidesse di girare una versione cinematografica delle sue crociate forensi. I suoi capelli corti, scuri, sono pettinati all'indietro e laccati a puntino. Il suo bell'aspetto è temperato da una franchezza tipica del Midwest. (In realtà è nativo della Virginia)
Yaffa stabilì con me una confidenza immediata, parlando con voce calma e tono costante. Quando gli chiesi perché avesse accettato un caso così complicato come quello di Carlitos, mi lanciò un'occhiata come a un teste poco collaborativo e disse: “Con questo mestiere ne vedo di tutti i colori. Ma quando vedo un bambino o una famiglia che hanno subito un torto e sono in pericolo, non ho bisogno di molte altre motivazioni.”

In principio, Yaffa aveva stentato a credere al racconto fattogli dal collega. Doveva vedere coi propri occhi e parlare con i genitori del bambino. Erano persone credibili? Una giuria avrebbe potuto fidarsi di loro? Avevano proprio bisogno del suo aiuto? Lasciato in garage il suo abituale mezzo di trasporto - una BMW nuova di zecca - per evitare di attirare l'attenzione, salì su un vecchio Chevy Suburban riservato alle uscite di pesca nei fine settimana e ai viaggi al mare con la famiglia, si allontanò dal suo ufficio di Miami, attraversò per chilometri le praterie disabitate degli Everglades fino alla cadente capanna a due stanze che i genitori di Carlitos dividevano, assieme al loro povero figlio, con altri sette lavoratori immigrati.
Quando Yaffa bussò alla porta, si ritrovò davanti Herrera. Fu colpito dal fatto che quella minuta donna, dalla faccia tonda, era poco più che una bambina. Tutti gli altri inquilini della baracca erano fuori, a lavorare alla piantagione. Carlitos fu piazzato in un seggiolino per bambini. Brandelli di carne secca pendevano da un filo tirato da una parte all'altra del salotto e l'aria umida aveva un odore fetido e pungente. Le mosche erano ovunque. Quanto Carlitos iniziò a fare chiasso, Herrera lo prese (aveva appena sei mesi) e lo mise sul pavimento. Un cucciolo di cane che gli inquilini della baracca avevano adottato si mise ad abbaiare in giro, e il bambino lo osservava sorridente.
“Né braccia né gambe”

Il cucciolo guaiva, saltellava, e cominciò a mordicchiare Carlitos. Il bambino iniziò a gridare: non aveva possibilità di scacciare una mosca o di allontanare un cagnolino, andava incontro a una vita piena di bisogni. “I pesticidi si erano insinuati dentro di lei colpendo quel bambino e guarda un po', nasce senza braccia né gambe”, mi disse Yaffa.
Parlando in spagnolo, l'avvocato tentò di cavare qualcosa da Herrera, che a sua volta lo parlava assai poco. Come per molti braccianti immigrati, la sua prima lingua e quella con cui si sentiva più a suo agio era un dialetto dei nativi indiani. Yaffa spiegò di essere stato contattato da un operatore sociale e di essere lì con un solo scopo: aiutarla. Le disse che il processo non sarebbe pesato sulle sue spalle. Come d'abitudine per gli avvocati nel suo campo, si sarebbe fatto carico lui di tutte le spese processuali e, come retribuzione, avrebbe avuto una percentuale dell'eventuale risarcimento.

Quando Herrera finalmente fece con la testa un cenno d'assenso, Yaffa promise che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarla. Ma si trattava di un rompicapo persino per un avvocato di successo e d'esperienza come lui. Per via delle quasi infinite variabili – ereditarietà, esposizione ad agenti chimici su altri luoghi di lavoro, possibili abusi di fumo o di droga, fattori ambientali - dimostrare le connessioni tra esposizione a pesticidi e malformazioni fetali è notoriamente un'impresa ardua.

Anziché adottare l'approccio convenzionale e cercare di identificare i veleni all'origine del danno, per citare la compagnia che lo aveva prodotto Yaffa decise di fare qualcosa che non aveva mai fatto. Avrebbe provato a ottenere un rimborso dalla fattoria dove Herrera lavorava. In sostanza, avrebbe chiamato in causa l'intero sistema di coltivazione moderno e la filosofia dei pesticidi su cui è basato.

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Fonte: Chemical warfare: the horrific birth defects linked to tomato pesticides

giovedì 24 novembre 2011

IL BENGODI DEI PARTITI



Rimborsi, benefit e sconti col fisco
Il Bengodi dei partiti
di Ferruccio Sansa | 24 novembre 2011

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/24/rimborsi-benefit-e-sconti-col-fisco-il-bengodi-dei-partiti/172754/

Ogni anno costano 217 milioni. I tagli del 30 per cento? Diventati del 3 per cento. E poi l'indennità, diarie, trasporti quasi gratis e perfino i parrucchieri. Però a loro non basta mai
E= mc al quadrato. Per una formuletta di tre lettere Einstein ha guadagnato il Nobel. Chissà che premio conquisterebbe uno scienziato capace di calcolare i rimborsi elettorali dei partiti italiani. Alla faccia della trasparenza. Ma quanto paghiamo ogni anno ai partiti? Nel 2011 circa 180 milioni (172 milioni per Camera, Senato, Europee e regionali cui vanno aggiunti amministrazioni a statuto speciale e referendum). Contando le voci accessorie si tocca quota 217, 5 milioni (senza contare esenzioni fiscali e sanatorie che vedremo). Un calcolo improbo (guarda l’infografica). Primo, i finanziamenti sono divisi in cinque fondi, uno per ogni elezione (Camera, Senato, Europee, Regionali e referendum). Secondo, la somma va divisa per anni e per consultazioni elettorali. Per dire, nel 2010 i partiti hanno preso i rimborsi per le politiche del 2006. Ma nel frattempo si erano svolte anche quelle del 2008. Gli uffici della Camera spiegano: “In alcuni anni i rimborsi si sommano”.

Per non parlar di mazzette. E la riduzione promessa del 30%? Quasi nulla: nel 2008 i rimborsi, sommando Camera e Senato (+ 10 % rispetto al 2011), Europee (+ 2 %) e regionali (-15 %) arrivano a 177 milioni. I tagli sarebbero del 3%. Ma in quell’anno si sovrapposero i rimborsi di due elezioni politiche, aggiungendo altri 37 milioni, per un totale di oltre 250. La politica è vorace. Qualche maligno, vedendo quanto entra nelle casse dei partiti dalle mazzette, sostiene che potrebbe bastare (ogni anno la corruzione ci costa 60 miliardi, quanto gli interessi sul debito). Ma oltre ai finanziamenti illeciti ci sono quelli legali. Qui forse i partiti contano sulla memoria corta degli italiani che nel referendum del 1993 avevano votato con il 90, 3 % contro il finanziamento pubblico. Ma è bastato cambiare il nome e i soldi sono rimasti. Anzi, sono aumentati a dismisura. Oggi si chiamano “rimborsi elettorali”.

I risultati sono paradossali, anche senza contare casi come quello ricordato da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella del partito che alle Europee del 2004 spese 16. 435 euro e ne ricavò un rimborso di 3 milioni. Dal 1998 al 2008 i “rimborsi” ai partiti sono aumentati del 1110 %. Dal 1976 al 2006 gli italiani hanno sborsato ai partiti oltre 3 miliardi. Meglio non fare confronti: ogni francese paga 1, 25 euro l’anno, gli spagnoli arrivano a 2, 58, mentre noi italiani sfioriamo quota 3, 62 (contando i contributi ai giornali). Per carità di patria bisognerebbe tacere degli Stati Uniti, dove i cittadini pagano mezzo euro e una volta ogni 4 anni (per le Presidenziali).

Non basta: in sedici anni lo Stato ha pagato 600 milioni di euro (37 milioni l’anno) per i cosiddetti giornali organi di partito. Decine di testate, alcune storiche come l’Unità, altre figlie di partiti nemici di Roma Ladrona, come la Padania o il Foglio della famiglia Berlusconi e di Denis Verdini. Ma si ricorda anche dei contributi al Campanile nuovo dell’Udeur di Clemente Mastella. Giornali con una buona diffusione, ma anche testate mai viste in edicola. Fin qui le voci (faticosamente) quantificabili.

Ci sono state altre entrate sparse in mille leggi e leggine. Prima c’era stata la storia del 4 per mille infilato nella dichiarazione dei redditi. Ma è stata eliminata. Anche perché aveva portato una miseria. Poi ecco una norma mimetizzata nel testo unico sulle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche: prevede un’esenzione fiscale del 19% sulle donazioni. In pratica su 100 euro di donazione 19 li mette lo Stato.

Questioni di famiglia. Con esiti sconcertanti, come ricordato da Rizzo e Stella: “Le aziende di Francesco Gaetano Caltagirone e della sua cerchia familiare hanno donato tra il 2008 e il 2010 all’Udc di Pier Ferdinando Casini, marito di Azzurra Caltagirone, 2 milioni e 700. 000 euro in 27 assegni da 100.000 euro”. Perché tante complicazioni? “Le donazioni ai partiti, fino a un tetto di 103. 000 euro, hanno appunto uno sconto fiscale del 19 per cento. Avessero fatto un assegno unico, con quel tetto, le aziende Caltagirone avrebbero potuto risparmiare 19. 000 euro. Facendone 27 ne hanno risparmiati 19. 000 per ciascuno. Risultato finale: uno sconto di 513. 000”. Niente di illegale, la colpa non è di Caltagirone. Ma se invece che al partito del genero avesse regalato la somma, per dire, a un’associazione per bambini malati avrebbe avuto sgravi fiscali 51 volte inferiori.

Così ai 220 milioni di euro ne vanno aggiunti altri. Impossibile dire quanti. Dovrebbero bastare. E invece no, perché poi a questo bisogna aggiungere stipendi e benefit di tanti esponenti di partito che sono parlamentari o consiglieri regionali. Un elenco che per gli inquilini di Montecitorio è lungo come un rosario: l’indennità mensile, dopo le ultime riduzioni, è pari a 5. 246, 97 euro netti (5. 007, 36 per chi svolge altri lavori). La diaria, riconosciuta a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma è di 3. 503, 11 euro. Il rimborso per spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori vale 3. 690 euro.

Pure i gettoni. Per i trasporti ogni deputato usufruisce di tessere per la libera circolazione (in Italia) autostradale, ferroviaria, marittima e aerea. Per i trasferimenti dal luogo di residenza all’aeroporto più vicino e tra l’aeroporto di Roma-Fiumicino e Montecitorio, è previsto un rimborso trimestrale (da 3. 323, 70 a 3. 995, 10 euro). Il Parlamento non fornisce cellulari, ma ogni deputato dispone di 3098, 74 euro l’anno per le spese telefoniche. Ecco poi l’assegno di fine mandato e il vitalizio che a ogni legislatura si promette di eliminare. Infine parrucchieri (uno ogni 52 parlamentari), bar e ristoranti che costano come il dopolavoro ferroviario. Per non dire delle auto blu. Infine le sanatorie per l’affissione abusiva di manifesti elettorali. Un classico. Così un writer che scarabocchia un muro di Roma si becca 500 euro di multa. Mentre un partito che imbratta mezza Italia si vota la sanatoria che liquida le multe con mille euro.

da Il Fatto Quotidiano del 24 novembre 2011

ANCORA SULLA BIANCOFIORE (MA POI BASTA)


http://www.frangipane.it/read_news.php?id=862

Cari Amici,
la deliziosissima e sgrammaticata onorevole Michaela Biancofiore, della quale vi ho parlato nell’Editoriale precedente, è incorsa ora anche nelle considerazioni – divertentissime – di Giannantonio Stella, editorialista del Corriere della Sera. Leggetele oggi a pagina 49. La Biancofiore, deputata bolzanina, è stata eletta per il PDL in una lista blindata della Campania. Fa l’ultranazionalista e frattanto ha condotto allo sfascio il suo partito in Alto Adige: un successo travolgente, un soggetto divertente.
Un abbraccio a tutti
Ettore Frangipane

Se per l’onorevole l’italiano è un optional

Alle elementari chi ha promosso Michaela Biancofiore?

«A scuola, allora, si cominciava con le aste, centinaia di aste su quaderni a quadretti con la matita, non ancora col pennino e l'inchiostro. Poi, si passava alle vocali; poi, alle consonanti; poi, all'assemblaggio di una consonante e di una vocale; quindi, si congiungevano le sillabe per formare parole. E si copiavano parole dal sillabario e si facevano schede d'esercizi. Esercizi che duravano dei mesi...».
Ecco, l'onorevole ripetente Michaela Biancofiore dovrebbe ricominciare da quell'ultima intervista data da Leonardo Sciascia a Le Monde prima di morire. Riparta dalle aste. O almeno dalle vocali: a-i-u-o-l-e. Perché una cosa deve mettersela in testa: deve piantarla di difendere l'italianità dell'Alto Adige commettendo strafalcioni mostruosi non solo per un deputato ma per un somaro della seconda elementare. Si è schiantata sugli accenti («dò», «stà», «pò»), ha detto che gli avversari la vogliono «distrutta, annientata, denigrata, scanzonata» (voce dello sconosciuto verbo michaeliano «scanzonare»), ha inventato «l'amantide religiosa». Creatura che, con l'apostrofo lì, è ignota in natura. Insomma: un disastro.

Prendiamo la sua ultima battaglia, contro la rimozione, dalla parete del Palazzo degli Uffici finanziari di Bolzano di un altorilievo che raffigura il Duce a cavallo. Ricordate? Berlusconi fece con Durnwalder nell'autunno 2010 un accordo scellerato: la Svp s'impegnava a non votare, in quel momento delicato, la sfiducia a Bondi e in cambio Roma dava ciò che nessun esecutivo, di destra o sinistra, aveva mai concesso: lo stop ai restauri del monumento alla Vittoria, la rimozione dell'altorilievo e lo spostamento del monumento all'Alpino di Brunico. Tre simboli dell'italianità vissuti dalla Svp come ferite. Bene: mentre scoppiava la rivolta, la ripetente «pasionaria» pidiellina se ne restò muta: «Invito tutti alla calma. Il governo ha già abbastanza problemi».

Entrata tardi in battaglia per amore berlusconiano, la Biancofiore ha però ragione: non c'è senso a rimuovere l'altorilievo. Come ricorda nel libro Non siamo l'ombelico del mondo Toni Visentini, che certo non è un italianista fanatico, «la piazza non è mai stata vissuta (ed è opportuno che non si cominci ora) come "fascista"» anche perché «il bassorilievo - splendido - è opera di un grande scultore bolzanino di lingua tedesca, Hans Piffrader». Cosa resterebbe se i posteri avessero distrutto tutti i ritratti di Giulio Cesare e Luigi XIV, papa Borgia o Ezzelino da Romano? Ormai è lì, ci mettano una targa che spieghi la scelta di non distruggere l'arte nonostante le infamie del Duce e fine.

Ma in nome dell'Italia, dell'italianità e della lingua italiana la Biancofiore la smetta di scrivere, come ha fatto su carta intestata spingendo Emiliano Fittipaldi a riderne su l' Espresso , che si trattò di un accordo preso «senza sentire n'è i dirigenti del Pdl n'è verificare la sensibilità dei nostri elettori...». Ma chi l'ha promossa in terza elementare? Pensa di avere, come deputata, l'immunità ortografica?

Gian Antonio Stella

martedì 22 novembre 2011

PATATRAC FINMECCANICA



Un commento di un lettore del Fatto, molto azzeccato, sensato, pacato, da parte di chi come gran parte del popolo italiano è stato preso per i fondelli dopo essere stato derubato, preso in giro e tosato, ora si chiedono ulteriori sacrifici a chi ha dato tutto, no !!! E' decisamente ora di finirla.



Tempo fa , circa un anno o poco più, la Finmeccanica era considerato uno dei gioielli italiani. Io come penso tanti italiani, ho cercato di sostenere il paese e le aziende migliori. Ho quindi investito i risparmi e la buonuscita (ho perso il lavoro pur non potendo ancora accedere alla pensione) in Titoli di Stato e qualche azione di Finmeccanica. E questo al contrario dei grandi evasori che si sono portati i soldi in Svizzera.
Adesso le azioni di Finmeccanica sono ridotte ad un quarto del loro valore e in questo articolo sono spiegati i motivi. I nostri politici si sono mangiati questa azienda riducendola, come altre, al lumicino. Come fanno le nostre aziende a competere se oltre le mille difficoltà devono sopportare anche il peso della corruzione?
Adesso se Monti vuole fare una cosa “equa” dovrebbe tenere conto dei miei soldi che sono andati in fumo per questi motivi. Invece mi impedisce di prendere la pensione di anzianità e quindi mi lascia senza reddito, non basta mi chiederà l’ICI sulla seconda casa comprata dove abita mio figlio (precario) e forse, ciliegina sulla torta, mi metterà la patrimoniale sulle azioni di Finmeccanica (su quel poco rimasto) e sui titoli di Stato massacrando quel poco risparmio che si è salvato dalla gestione disastrosa del nostro paese.
Questo mentre corruttori, corrotti ed evasori continuano a godersi indisturbati i loro guadagni.
Basterebbe da sola o la tassazione dei soldi portati in Svizzera (facendo lo stesso accordo che ha fatto la Germania) o un recupero del 20% della attuale evasione per non dover chiedere un ulteriore sacrificio ai pensionandi ormai ridotti al lumicino da continui interventi sulla previdenza e allungamenti dell’età utile per andare in pensione, non ultimo il trucchetto della finestra di ben 13 mesi che non esiste in nessun altro paese.
Io dico basta chiedere sempre ai soliti; cominciate a chiedere indietro i soldi di cui a questo articolo e risanate le aziende che così non licenzieranno.

Dal Fatto Quotidiano

Finmeccanica, “200 mila euro destinati
a Casini”. E Guarguaglini “sapeva”

Dai verbali d'interrogatorio il presunto giro di soldi tra l'azienda pubblica e diversi politici. Il consulente Cola chiama in causa l'ex parlamentare Dc e afferma: "Il presidente autorizzava". Il manager Borgogni: "Ero io il collettore dei favori". Spuntano i nomi di La Russa, Giorgetti, Romani, Scajola, Matteoli e dei vertici dell'Udc. Intanto il titolo in Borsa perde il 6,6 per cento e si profila un cambio al vertice

Pierfrancesco Guarguaglini
Trecentomila euro in contanti consegnati “all’onorevole Bonferroni, espressione dell’Udc”. Lo ha raccontato in interrogatorio Lorenzo Cola, superconsulente di Finmeccanica, a proposito del presunto giro di denaro tra l’azienda controllata dal ministero dell’Economia e diversi politici. Il riferimento è a Franco Bonferroni, classe 1938, già deputato e senatore democristiano, in Parlamento fino al 1994, poi membro del consiglio d’amministrazione della società. Nell’interrogatorio del 9 dicembre 2010, Cola dichiara ai pm di Roma di aver consegnato “agli inizi del 2008″ 300 mila euro in contanti “all’on. Bonferroni”, spiegando che “per noi del gruppo Bonferroni era espressione dell’Udc”, “un riferimento politico preciso”.

Cola, che in precedenza aveva sempre assicurato che i vertici Finmeccanica fossero ignari delle tangenti ai politici, nell’interrogatorio del 24 agosto scorso ha cambiato versione, approfondendo anche la terminologia che faceva da sfondo alle sue ‘chiacchierate’ con Guarguaglini. “Nelle nostre discussioni – ha detto Cola ai pm – l’attività di sovrafatturazione e di pagamento di tangenti veniva definita ‘fare i compiti’. Locuzione che serviva per definire anche l’attività di mettere a posto le carte, la contabilità e tutto il resto, per evitare si scoprissero i fatti illeciti che intervenivano. Quando qualcuno incappava in qualche vicenda giudiziaria, e a ciò veniva dato risalto mediatico, dicevamo che avevano fatto male i compiti”.

Guarguaglini, tuttavia, rispedisce al mittente le accuse. “Non ho mai creato fondi neri, non ho mai elargito né dato ordini di elargire somme di denaro a politici e/o partiti” ha detto il presidente di Finmeccanica, il quale ha ribadito che “il signor Lorenzo Cola non è mai stato il suo braccio destro”. Tra accuse e smentite, la vicenda delle presunte tangenti nella società statale continua a tirare in ballo nomi di spicco della politica italiana, Udc in primis.

IL COINVOLGIMENTO DELL’UDC

E’ la seconda vicenda che coinvolge l’Udc, dopo la presunta somma consegnata al tesoriere Giuseppe Naro. Si tratta dei 200 mila euro che, secondo quanto riferito da Tommaso Di Lernia ai pm, erano destinati direttamente a Pier Ferdinando Casini. “Pugliesi (amministratore delegato di Enav, arrestato per la tangente, ndr) mi disse che erano destinati a Casini – ha detto Di Lernia ai magistrati – Vennero consegnati al tesoriere dell’Udc perché erano assenti sia Cesa che Casini, impegnati in un’operazione di voto, secondo quanto disse il tesoriere (Naro, ndr). Riguardo a questa vicenda, Pier Ferdinando Casini, annunciando querele, ha rispedito al mittente i sospetti: “Non mi sembra che le accuse vengano da Santa Maria Goretti” ha detto il leader Udc. In un’intercettazione telefonica, inoltre, si parla di un finanziamento illecito al Pdl di Milano.

GUARGUAGLINI E SIGNORA

Cola esclude “che Pierfrancesco Guarguaglini (presidente di Finmeccanica, ndr) e Marina Grossi (amministratore delegato della controllata Selex Sistemi Integrati e moglie di Guarguaglini, ndr) abbiano mai percepito denaro”, ma almeno Grossi sarebbe stata a conoscenza del “sistema” vigente: ”Si parlava con Marina Grossi del fatto che per lavorare in Enav occorreva pagare tangenti”, ha detto Cola ai pm, in riferimento all’ente che controlla il traffico aereo. “E’ un sistema che lei ha ereditato e che ha continuato a realizzare”.

Quanto al presidente di Finmeccanica, nell’interrogatorio del 1 settembre 2011 allegato all’inchiesta Enav, Cola dichiara: “Guarguaglini autorizzava tali operazioni ovviamente, non caso per caso. Borgogni (Lorenzo Borgogni, responsabile delle relazioni istituzionali del gruppo, ndr) aveva un’investitura a effettuare questo tipo di operazioni per conto del gruppo da parte di Guarguaglini. Di esse occasionalmente egli aveva specifica notizia”. Cola si riferisce proprio ai 300mila euro citati a proposito di Bonferroni.

GLI ALTRI POLITICI

Il consulente racconta anche come avveniva la lottizzazione in Enav: “Formalmente, il potere di nominare il cda spettava al Ministero dell’Economia”. Ma “sul piano sostanziale la nomina era il frutto di una precisa ripartizione politica. In concreto, nella prima fase, ossia tra il 2001 e il 2002, vi era un cosiddetto tavolo delle nomine o laboratorio all’interno della maggioranza, composto da Brancher, Cesa, Gasparri o La Russa e un uomo della Lega”.

Lo scandalo si ingrandisce e il terremoto ai vertici di Finmeccanica sembra imminente. La holding italiana perde pezzi, scossa come è da quanto emerge dagli interrogatori di Cola e di Lorenzo Borgogni, direttore delle relazioni istituzionali, indagato per finanziamento illecito ai partiti e autosospesosi dall’incarico che ricopriva nella società. Il pm della Procura di Roma Paolo Ielo ha chiesto l’arresto di Borgogni per la vicenda degli appalti Enav, arresto negato dal Gip.

PDL O PD?

Secondo il magistrato, “vi è una conversazione telefonica intercettata dalla quale – si legge nella richiesta – si evince con solare evidenza che il ruolo di Lorenzo Borgogni, dentro Finmeccanica, fosse anche quello di occuparsi di contribuzioni illecite al sistema dei partiti”. L’intercettazione è del 21 settembre 2010 e Ielo aggiunge: “Il tenore di tale telefonata appare essere inequivoco. Si tratta di una contribuzione al Pdl, che – continua – rischia di essere confusa con una contribuzione al Pd, palesemente illecita in ragione del fatto che deve essere effettuata con una società esterna”.

Nella telefonata, Borgogni parla con un certo Marco. Marco afferma che “mi ha chiamato Filippo, dice che su, su quel discorso che facciamo ogni anno della loro offerta di partito a Milano… beh, del Pd, credo sia una cosa del Pdl, no? Dice che te ne ha parlato a te pure?”. Borgogni nega, ma Marco insiste: “Su Milano… lui mi ha detto anche che gli hai indicato che non volevi comparire come Finmeccanica ma come una società esterna”. A quel punto, Borgogni prima gli dice “vabbè, se ne parla quando torni dai” e poi, di fronte alle insistenze dell’interlocutore (“lui dice sto all’ultimo, con l’acqua alla gola”), fa capire di non gradire: “Dai Marco maremma puttana Marco”.

LE INCHIESTE DI ROMA E NAPOLI

Il potente uomo comunicazione ha deciso di collaborare con i pm di Napoli, titolari dell’inchiesta Finmeccanica sugli appalti esteri ottenuti dal colosso industriale. I verbali di Borgogni sono stati poi trasmessi anche ai magistrati romani che indagano sugli appalti delle società controllate da Finmeccanica e dall’Enav. Che cosa racconta Borgogni? Racconta di essere “il collettore di rapporti con i politici” per conto di Finmeccanica. “Mi sono sempre occupato – dice – di trasferire le loro richieste alle società del Gruppo. Nomine, assunzioni, appalti. Sono in grado di ricostruire – continua – quanto è accaduto negli ultimi anni”. E quale sarebbe la rete di interessi legati a nomine dettate dai partiti? Borgogni parla di tutti gli schieramenti, dalla destra alla sinistra, passando per il centro. Un episodio è emblematico. Quando Borgogni racconta agli inquirenti che: “Su richiesta del presidente di Enav, Luigi Martini, feci assumere la figlia di Floresta (Ilario, ex deputato di Forza Italia, ndr) in una delle società del gruppo Finmeccanica, che ne aveva fatto richiesta al Martini”.

IL SISTEMA

Il manager avrebbe rivelato agli inquirenti il funzionamento del sistema di spartizione delle poltrone nel Cda di Finmneccanica. Nomine di precisa espressione politica. Come quelle di Piergiorgio Alberti, espressione dell’ex ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola; Nicola Squillace referente dell’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa; Franco Bonferroni come espressione dell’Udc e, infine, Dario Galli della Lega Nord. Ma le cronache di oggi, riportano anche i nomi di Carlo Giovanardi e Gianni Letta. L’ex sottosegretario alla Presidenza del consiglio di ministri – racconta Borgogni – avrebbe indicato i nomi da inserire ai vertici di alcune controllate di Finmeccanica per conto dello stesso Giovanardi. Ma spuntano anche i nomi di candidati avanzati da Giancarlo Giorgetti della Lega. E in un appunto si menzionano Paolo Romani e l’ex consigliere di Tremonti, Marco Milanese. Non solo. Di Lernia ha tirato in ballo anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e il senatore del Pd Marco Follini, all’epoca dei fatti vicepresidente del Consiglio. “Smentisco nel modo più categorico: non c’è nessuna telefonata mia o di persone a me vicine; non ho mai visto, né sentito Di Lernia, non so chi sia” ha dichiarato Follini ad ‘Agorà’ su Raitre, spiegando che “il suo nome l’ho letto dai giornali e scopro che è un faccendiere. Non mi sono mai occupato di queste cose – ha aggiunto l’esponente dei democratici -. Sono indignato ed esterrefatto e sentirò i miei avvocati per una querela”.

Sia Cola che Tommaso Di Lernia, imprenditore romano in affari con Enav-Finmeccanica, tirano in ballo l’ex ministro Pdl Altero Matteoli, che però smentisce qualunque coinvolgimento nella vicenda. ”Martini (presidente Enav, ndr) è espressione anche di Matteoli, a sua volta molto vicino a Optimatica”, afferma Cola. Di questa società aveva già parlato Di Lernia il 27 giugno 2010: “Optimatica è una società vicina al ministro Matteoli, credo che eroghi finanziamenti alla fondazione a lui riconducibile”. L’ex ministro nega decisamente queste ricostruzioni: “La Fondazione che presiedo non ha mai ricevuto finanziamenti dalla società Optimatica, che non è in alcun modo a me legata”.

Solo ieri sera a Report, il presidente Guargaglini dichiarava: ”Io escludo di aver mai dato autorizzazioni del genere e non ne sono mai venuto a conoscenza”. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, Borgogni aggiunge che sui contratti stipulati in questa gestione di “aver agito d’accordo con il presidente Pier Francesco Guarguaglini, del quale sono uno dei collaboratori più stretti”.

L’11 gennaio scorso, Borgogni era stato sentito dal procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo, presenti anche i magistrati Paolo Ielo, Rodolfo Sabelli e Giovanni Bombardieri e aveva ammesso di avere incassato milioni di euro da società che lavorano con Finmeccanica fino ad accumulare 5,6 milioni di euro su un conto londinese, dopo averli ‘ripuliti’ con lo scudo fiscale appena in tempo per potere dichiarare con tono offeso ai giornalisti: “Non ho conti all’estero”.

RIPERCUSSIONI IN BORSA

Intanto il titolo Finmeccanica sente la pressione. A Piazza Affari a pochi minuti dall’avvio delle contrattazioni, il titolo cedeva il 3,92% a 3,86 euro, per poi chiudere a -6.6%. Insistenti le voci su una convocazione straordinaria di un Cda già nei prossimi giorni. Non viene escluso che il presidente, Pier Francesco Guarguaglini, possa dare le dimissioni. I primi a esprimersi sono gli analisti finanziari di Intermonte: “Riteniamo che le dimissioni di Guarguaglini possano essere positivamente accolte dal mercato perché sarebbero un ulteriore segnale di cambiamento nella società”, dichiarano in una nota.

Guarguaglini è indagato per frode mentre sua moglie, Marina Grossi, amministratore delegato della controllata sempre da Finmeccanica Selex Sistemi integrati, è accusata di frode e corruzione. Ci si aspettava un braccio di ferro oggi tra Giuseppe Orsi, ad di Finmeccanica, e Guarguaglini stesso al consiglio di amministrazione della controllata Selex Sistemi Integrati, epicentro dello scandalo Enav-Finmeccanica, con Orsi a chiedere “la testa” dell’ad Grossi, ma dopo una lunga riunione Marina Grossi resta alla guida della società.