E' noioso doversi ripetere, d'altra parte finchè ci sarà "lui" a governare non ci potranno che essere due categorie di persone in Italia: quelli che lo adorano e molti altri che non lo sopportano, si tratta di definire quale possa essere il limite di sopportazione che possa far passare molti dei primi (quelli più intelligenti) alla seconda categoria. Quando arriverà quel momento ? Presto spero, ma sono 15 anni che me lo ripeto e francamente mi sono ormai rotto.
Le guerre indiane del Cavaliere
di CURZIO MALTESE
COMINCIA molto male il 2009 del governo Berlusconi. Un giorno un veto di Bossi, un altro la lite con Fini. L'immagine regale del premier che comanda tutto e tutti, unto da un consenso oceanico, mostra le prime crepe. Combina poco e quel poco grazie ai voti di fiducia, quasi temesse la propria maggioranza, in teoria solidissima e compatta agli ordini del capo.
L'ultimo voto di fiducia, sul pacchetto anticrisi, ha suscitato la viva protesta del presidente della Camera, uno che negli ultimi tempi ha deciso di concedersi il raro lusso dell'indignazione.
Gianfranco Fini l'ha detto chiaro: il governo chiede troppi voti di fiducia perché ha "un problema politico".
Si può aggiungere che è lo stesso problema da quindici anni. Berlusconi costruisce perfette macchine da guerra elettorale che poi si rivelano incapaci di governare. Il primo esperimento fallì dopo pochi mesi per la secessione leghista. Il secondo governò cinque anni, dal 2001 al 2006, senza realizzare una delle tante riforme promesse. Per colpa dei centristi, si giustificò. Il terzo, senza l'alibi Casini, ha già dimostrato d'essere inadatto a fronteggiare la recessione. Se il governo deve ricorrere alla fiducia in Parlamento per far approvare un pacchetto di misure anticrisi ridicolo, confrontato a quelli adottati nel resto dell'Occidente, chissà che cosa succederà quando si dovrà fare sul serio.
È un governo capace di vincere le "guerre indiane", quelle che si combattono con i cannoni contro archi e frecce. Berlusconi e i suoi ministri sono insomma bravi a far crocifiggere dalle televisioni singole categorie di poveri cristi, dalle maestre agli immigrati, dagli impiegati statali agli assistenti di volo, di volta in volta additati come i responsabili delle sciagure economiche.
Già quando si sale verso i piani alti, per esempio dalle elementari alle baronie universitarie, dagli impiegati ai grandi manager pubblici o dalla piccola parrocchia sindacale alla Chiesa, il riformismo e il rigore si stemperano, il moralismo si relativizza. Il pacchetto anticrisi, nella sua mediocrià, sfiorava qualcuna di queste categorie protette, ed era a rischio di agguato parlamentare. Berlusconi, che continua a confondere il Parlamento con Mediaset, prova a imporre la legge del padrone, in attesa e come rodaggio del vagheggiato presidenzialismo. Ma il Parlamento non è un'azienda ed è positivo che almeno uno dei suoi due presidenti lo ricordi.
Ma il problema politico cui allude Fini è molto più grave del dissidio fra Berlusconi e questo o quell'alleato. Oggi come nel '94 e nel 2001, le componenti della maggioranza difendono interessi diversi e spesso in contrasto. La Lega vuole il federalismo fiscale che An e Forza Italia, partiti sempre più meridionali, possono concedere volentieri a parole, mai nei fatti. L'ultima vicenda dell'Alitalia ne è una prova assai concreta ed evidente. Quando si è trattato di scegliere fra Air France e Lufthansa, in pratica fra Fiumicino e Malpensa, il governo ha scelto Roma contro Milano. Il resto sono chiacchiere. È vero che finora gli elettori leghisti si sono contentati delle chiacchiere e non dei fatti, invero pochini. Ma siccome, da gente pratica, prima o poi se ne accorgeranno, Bossi e i suoi si tengono con un piede nella maggioranza e uno fuori. È già accaduto che la Lega ne uscisse, nel '94, ottenendo alle elezioni successive il suo più grande successo. Una replica del ribaltone appare oggi improbabile. Fra l'altro, non troverebbe una sponda solida nel rocambolesco accrocco delle opposizioni. Eppure con la crisi alle porte, molte cose possono cambiare in fretta. Esiste poi l'altro conflitto, sia pure meno pericoloso, con la componente di An. Soprattutto con Gianfranco Fini, che si è stufato di fare il delfino a vita. Ha capito che non diventerà mai il successore, quindi si concede finalmente libertà d'azione e di pensiero. Con uscite largamente apprezzabili, dal fascismo agli immigrati, dalla laicità alla difesa delle istituzioni.
In tutto questo, Berlusconi pure difende un interesse non negoziabile, il proprio. L'interesse di Berlusconi è ottenere oggi la riforma della giustizia e domani il presidenzialismo. Una naturale evoluzione: dalle leggi ad personam alle riforme ad personam. Ma non si vede davvero perché gli alleati dovrebbero avere tanta fretta di consegnargli un potere assoluto, quando possono campare benissimo negoziando di volta in volta. Infatti né Bossi né Fini, a quanto s'è capito, fremono d'impazienza. Sullo sfondo di questo complesso teatrino ci sarebbe un paese sull'orlo di una lunga recessione aggravata dal terzo debito pubblico del pianeta. Ma questa naturalmente è l'ultima delle preoccupazioni.
L'ultimo voto di fiducia, sul pacchetto anticrisi, ha suscitato la viva protesta del presidente della Camera, uno che negli ultimi tempi ha deciso di concedersi il raro lusso dell'indignazione.
Gianfranco Fini l'ha detto chiaro: il governo chiede troppi voti di fiducia perché ha "un problema politico".
Si può aggiungere che è lo stesso problema da quindici anni. Berlusconi costruisce perfette macchine da guerra elettorale che poi si rivelano incapaci di governare. Il primo esperimento fallì dopo pochi mesi per la secessione leghista. Il secondo governò cinque anni, dal 2001 al 2006, senza realizzare una delle tante riforme promesse. Per colpa dei centristi, si giustificò. Il terzo, senza l'alibi Casini, ha già dimostrato d'essere inadatto a fronteggiare la recessione. Se il governo deve ricorrere alla fiducia in Parlamento per far approvare un pacchetto di misure anticrisi ridicolo, confrontato a quelli adottati nel resto dell'Occidente, chissà che cosa succederà quando si dovrà fare sul serio.
È un governo capace di vincere le "guerre indiane", quelle che si combattono con i cannoni contro archi e frecce. Berlusconi e i suoi ministri sono insomma bravi a far crocifiggere dalle televisioni singole categorie di poveri cristi, dalle maestre agli immigrati, dagli impiegati statali agli assistenti di volo, di volta in volta additati come i responsabili delle sciagure economiche.
Già quando si sale verso i piani alti, per esempio dalle elementari alle baronie universitarie, dagli impiegati ai grandi manager pubblici o dalla piccola parrocchia sindacale alla Chiesa, il riformismo e il rigore si stemperano, il moralismo si relativizza. Il pacchetto anticrisi, nella sua mediocrià, sfiorava qualcuna di queste categorie protette, ed era a rischio di agguato parlamentare. Berlusconi, che continua a confondere il Parlamento con Mediaset, prova a imporre la legge del padrone, in attesa e come rodaggio del vagheggiato presidenzialismo. Ma il Parlamento non è un'azienda ed è positivo che almeno uno dei suoi due presidenti lo ricordi.
Ma il problema politico cui allude Fini è molto più grave del dissidio fra Berlusconi e questo o quell'alleato. Oggi come nel '94 e nel 2001, le componenti della maggioranza difendono interessi diversi e spesso in contrasto. La Lega vuole il federalismo fiscale che An e Forza Italia, partiti sempre più meridionali, possono concedere volentieri a parole, mai nei fatti. L'ultima vicenda dell'Alitalia ne è una prova assai concreta ed evidente. Quando si è trattato di scegliere fra Air France e Lufthansa, in pratica fra Fiumicino e Malpensa, il governo ha scelto Roma contro Milano. Il resto sono chiacchiere. È vero che finora gli elettori leghisti si sono contentati delle chiacchiere e non dei fatti, invero pochini. Ma siccome, da gente pratica, prima o poi se ne accorgeranno, Bossi e i suoi si tengono con un piede nella maggioranza e uno fuori. È già accaduto che la Lega ne uscisse, nel '94, ottenendo alle elezioni successive il suo più grande successo. Una replica del ribaltone appare oggi improbabile. Fra l'altro, non troverebbe una sponda solida nel rocambolesco accrocco delle opposizioni. Eppure con la crisi alle porte, molte cose possono cambiare in fretta. Esiste poi l'altro conflitto, sia pure meno pericoloso, con la componente di An. Soprattutto con Gianfranco Fini, che si è stufato di fare il delfino a vita. Ha capito che non diventerà mai il successore, quindi si concede finalmente libertà d'azione e di pensiero. Con uscite largamente apprezzabili, dal fascismo agli immigrati, dalla laicità alla difesa delle istituzioni.
In tutto questo, Berlusconi pure difende un interesse non negoziabile, il proprio. L'interesse di Berlusconi è ottenere oggi la riforma della giustizia e domani il presidenzialismo. Una naturale evoluzione: dalle leggi ad personam alle riforme ad personam. Ma non si vede davvero perché gli alleati dovrebbero avere tanta fretta di consegnargli un potere assoluto, quando possono campare benissimo negoziando di volta in volta. Infatti né Bossi né Fini, a quanto s'è capito, fremono d'impazienza. Sullo sfondo di questo complesso teatrino ci sarebbe un paese sull'orlo di una lunga recessione aggravata dal terzo debito pubblico del pianeta. Ma questa naturalmente è l'ultima delle preoccupazioni.
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