venerdì 10 settembre 2010

Fini.... mondo


Tratto dal Blog di Tranfaglia

Da Mirabello a Torino

Scritto il 10 settembre 2010 in Il Fatto Quotidiano


Chi l'avrebbe detto che un leader politico dell'Italia contemporanea come Gianfranco Fini, da trent'anni presente in parlamento, facesse un discorso di radicale condanna dell'avventura a cui ha partecipato per diciassette anni con un ruolo tutt'altro che trascurabile e stilasse una condanna senza appello per Berlusconi e ancor di più per il sistema che il cavaliere di Arcore ha creato e consolidato in questi anni?
Nessuno avrebbe potuto prevederlo. E chi ha ascoltato con attenzione il suo discorso di Mirabello ha creduto più volte di non credere alle sue orecchie.

La gestione del Popolo della Libertà che è stato fondato da Berlusconi e dallo stesso Fini non più tardi di due anni fa è stato definita come emergente dalle "pagine del peggior stalinismo". La leadership del cavaliere è stata giudicata espressione di uno "spirito proprietario" che confonde la gratitudine con il divieto di avanzare critiche. I telegiornali che risalgono al presidente del Consiglio e sono ahimè la grande maggioranza con assai scarse eccezioni(tra le quali si segnala inopinatamente quello diretto da Mentana sulla 7), ricorda Fini, "sembrano essere fotocopie dei fogli di ordine del PDL. E si potrebbe continuare a lungo segnalando "la campagna infame", attribuita a ragione a il Giornale e a Libero, ambedue considerati i giornali della famiglia Berlusconi che continuano da molti mesi una campagna martellante sulla casa a Montecarlo di Gianfranco Fini, senza pensare neppure per un momento che assai di più e di più grave bisognerebbe dire (se fossero giornali degni di questo nome) per la P2 e il P3, per gli affari della "cricca" e la gestione del terremoto dell'Aquila che vedono al centro imprenditori legati a ministri del governo Berlusconi, ad altri funzionari dello Stato come della Protezione Civile.

Il presidente della Camera ha demolito le fragili difese del sogno berlusconiano indicando, con attacchi precisi, i metodi antidemocratici che reggono il sistema, la mancanza di una politica economica e industriale preoccupata dei giovani,la resistenza pervicace a modificare il sistema elettorale(rispetto al quale Fini ha pur dovuto ricordare di essere stato tra gli autori ma di cui ormai appare pentito).
E così via, preoccupato a non provocare la scintilla dell'incidente, ma, nello stesso tempo, determinato a non concedere nulla e a rivendicare una collaborazione continua anche se conflittuale con quella parte di PDL che, grazie al tradimento di molti suoi colonnelli di Alleanza Nazionale, continua ad occupare i posti decisivi nella maggioranza parlamentare come nel governo Berlusconi.
Un discorso quello di Fini che ha indicato con chiarezza le ambizioni di leadeship dell'ex segretario di Alleanza Nazionale e prima ancora del Movimento Sociale ma che non ha risposto a quel che farà d'ora in poi.

Era del resto assai difficile farlo senza arrivare a una rottura completa, e per così dire pregiudiziale, con il suo antagonista di centro-destra, provocando così lui quelle elezioni che Bossi e Berlusconi desiderano fortemente ma che hanno difficoltà a proclamare apertamente per il timore delle reazioni popolari, come dei poteri forti(a cominciare dalla Confindustria) a cui hanno bisogno di essere legati. Resta il fatto, evidente dopo la giornata di ieri, che la crisi del governo Berlusconi è ormai inevitabile e che sarà difficile andare avanti molto tempo ancora nella legislatura.

Fini può dire ancora una volta che intende mantenere il patto elettorale e che il gruppo parlamentare Futuro e Libertà voterà in maniera disciplinata e costante la fiducia richiesta dall'esecutivo ma sarà fatale che, di fronte a provvedimenti che mettono in gioco la legalità,i principi fondamentali del dettato costituzionale ma anche la politica economica e sociale, le strade si divideranno e quello che aspira a diventare la "nuova destra" passerà all'opposizione del berlusconismo. Del resto è questa la prova decisiva che attende il leader di Mirabello con la sua pattuglia di militanti e di parlamentari.O si salta davvero il Rubicone o il dramma diventa una farsa e muore la speranza tra i giovani di destra che lo seguono e gli italiani che magari restano a sinistra ma sanno di dover guardare con rispetto e interesse a una destra finalmente democratica ed europea.

Ma questi sono giorni che segnano la fine della sedicesima legislatura ed è per molti aspetti che anche il centro-sinistra ne sia investito perfino nei luoghi che la festa nazionale del Partito Democratico ha indetto a Torino,una delle città italiane nelle quali il pci esercitò per molti anni la sua indiscussa egemonia nei primi quarant'anni dell'Italia repubblicana.
Così è accaduto che, dopo i fischi di due giorni fa al presidente del Senato Schifani che molti giornali si sono affrettati a definire come atti di squadrismo quando, in realtà, il senatore del PDL era riuscito dopo le contestazioni verbali a raggiungere senza danni l'uscita e ritornare ai suoi quotidiani incontri con il leader del "populismo autoritario",la contestazione è divenuta violenta e si è tradotta nel lancio di un fumogeno che ha raggiunto direttamente il segretario generale della CISL Bonanni che ha dovuto rinunciare del tutto al dibattito.

Tra i contestatori c'erano i militanti dei centri sociali di Torino ma anche operai esasperati dalla presenza alla Festa
di avversari politici del centro-sinistra e schierati più o meno apertamente con la destra italiana. Certo, la violenza è inaccettabile in ogni sede e ancora di più all'interno di una Festa di partito che è, per definizione, luogo di dibattito e di confronto tra forze politiche e sindacali. In questo senso c'è da chiedersi, come ha fatto il segretario del Partito Democratico, Bersani, se non ci siano stati, anche da parte delle forze dell'ordine, errori e incapacità di cogliere in tempo il pericolo che la situazione potesse degenerare dopo le ultime dichiarazioni di Bonnani che anche in mattinata a Torino aveva difeso la disdetta del contratto dei metalmeccanici appena fatta da Federmeccanica e la politica della Fiat inaugurata a Pomigliano.
Ma forse c'è da considerare che gli operai e i giovani a Torino, come in molte altre città, sono esasperati dalla politica economica del governo e da quella della Confindustria.
Vero è che una destra come quella berlusconiana è ormai arrivata al capolinea e nella sua inevitabile caduta corrono il rischio di aumentare gli episodi di violenza e di attacco alla democrazia. C'è da sperare che la classe politica al governo ne sia consapevole e lo sia anche quella parte dell'opposizione che non ha ancora compreso il punto in cui siamo e si illude di poter andare avanti come se fossimo in un paese normale.
Non lo siamo e forse siamo ancora più lontani di quanto lo fossimo dieci o venti anni fa. Questo ci dice l'andamento della Festa di Torino e sarebbe il caso di rendercene conto.


Tratto dal blog di Daniele Martinelli.

Fini in dipietrese casiniano
settembre 6th, 2010 5



“Cacciato dal partito in maniera stalinista” perché Berlusconi non tollera il “legittimo dissenso“. Questa frase pronunciata da Fini al comizio di Mirabello sintetizza la rottura ufficiale col piduista e la sua claque di riciclati, condannati, mafiosi e venduti.
Il ritiro del ddl sul processo breve sancisce la messa in minoranza del piduista assieme a Bossi. Non si azzarda più ad avanzare porcherie incostituzionali perché per Fini e il Fli “garantismo non è impunità permanente” e “la magistratura è il caposaldo della nostra democrazia“. Dunque “niente leggi ad personam” per un corruttore di giudici che ha infiltrato di gente opaca tutti gli organi di garanzia, dalla Consulta al Csm.

Nel merito della campagna corruzioni tra i finiani con contanti tra le dita “il premier pensa di trattare con i clienti della Standa cui offrire un premio di fedeltà se non cambiano supermercato“. Ma siccome il “popolo non equivale a sudditi, e la maggioranza non è il contorno del premier, non ci faremo intimidire da quello che è stato il metodo Boffo messo in campo da alcuni giornali, che dovrebbero essere il biglietto da visita del partito dell´amore“.
Per Fini gli “attacchi infami hanno dato vita a un´autentica lapidazione di tipo islamico contro la mia famiglia“. Eccolo dunque a difendere “la sovranità popolare che significa poter scegliere i loro parlamentari” invece che la vergognosa legge attuale per la quale “faccio il mea culpa che ci sia la lista prendere o lasciare“.

Fin qui si potrebbe pensare a un miracoloso risveglio da 15 anni di letargo di una destra sopita e nostalgica. Peccato che poi, Fini, nel suo discorso si contraddice rendendo disponibile il suo partito a sostenere i 5 punti del programma berluscoide “a patto di sapere come si traducono i titoli delle riforme nella realtà” e paventare un “patto di legislatura” che non si traduce più in leggi ad personam ma in “un provvedimento a tutela della figura del capo del governo senza la cancellazione dei processi, ma soltanto la sospensione“. Senza spiegare come si possano evitare altre leggi ad personam e ad aziendam.
Fini si contraddice quando concede a Berlusconi l’opportunità di dotarsi di uno scudo giudiziario e si dice “favorevole al lodo Alfano e al legittimo impedimento” poiché “il premier ha il diritto di governare, senza che nessuno imbocchi scorciatoie giudiziarie“.

Tanto basta per ritenere che dalle parole di Fini sono uscite intenzioni alla dipietrese con contraddizioni alla Casini. Sono venuti fuori tentativi di indipendenza e autonomia politica ammorbati dalla paura tipica di chi come Fini ha vissuto per anni di soggezioni, timori e complessi di inferiorità. Fini sprona se stesso davanti alla platea cercando conferme tipiche dei corsi di autostima: “se un uomo non ha fiducia nelle sue idee, o non valgono nulla le idee, o non vale niente lui“.
A Mirabello Fini ha ammesso che Alleanza nazionale si è venduta al corruttore e alle sue cause perse. Fini e finiani si sono resi conto di aver fatto troppi danni senza aver dato nulla in cambio ai cittadini.

Ammettere di non sopportare più “la logica dell’attendere domani” sancisce il bisogno di Fini e del Fli di distinguersi dalla claque dei Dell’Utri, Caliendo, Ciarrapico, Cosentino, Nespoli, Berruti e compagnia di galeotti. Speriamo non solo a parole. L’Italia onesta e di destra attende con fiducia la sfiducia alla cricca berlus-bossiana. Il Fli può ”fly away“da 15 anni di buio. Avanti!

Nessun commento: